di Alfonso Malangone*
I soldi non danno la felicità, si dice. Sarà anche vero, ma è innegabile che ci si possa sentire infelici quando manchino. E, anche sfiduciati. Come avrebbe detto Catalano: “i soldi è meglio averli che non averli”. Una regola di buona vita suggerisce di gestire le proprie disponibilità con sobrietà, evitando sperperi inopportuni e mettendo da parte una riserva per i momenti di difficoltà che, per quanto denegati, non mancano mai.
Del resto, la pandemia ha dimostrato quanto inimmaginabili e inaspettate possano essere le situazioni in grado di mettere a rischio i sacrifici fatti. Se, però, l’attenzione al risparmio è certamente una virtù, non sarebbe giusto considerare una colpa il ricorso al debito laddove finalizzato al miglioramento delle proprie condizioni di vita senza comprometterne la continuità. Alcuni anni fa, qualcuno che, per preparazione, ci guarda da distanze siderali, nel discutere delle scelte di finanza pubblica, giudicò addirittura inopportuno tenere ferma la ricchezza sostenendo l’utilità del ricorso anche a prestiti di lungo periodo per realizzare opere idonee a creare lavoro e a produrre risorse da destinare al loro rimborso. Disse, più o meno: “oggi abbiamo bisogno di tanti soldi da spendere nel modo giusto, senza sciupii”, con questo introducendo la sostanziale differenza tra l’indebitamento ‘buono’ e quello ‘cattivo’. Una proposta non nuova, in verità. Fu la teoria diffusa da un signore di nome Keynes, negli anni ’30 dello scorso secolo, a introdurre il principio dell’azione attiva dello Stato nelle scelte economiche per superare lo sconquasso della crisi epocale di quegli anni. Non serve, qui, parlarne, ma applicare quella teoria è essenziale se si vogliono immaginare interventi concreti contro le difficoltà che si stanno vivendo nel nostro contesto locale. In sintesi, l’Amministrazione deve porre la massima cura nella progettazione di investimenti a debito, avendo cura di ricorrere esclusivamente al prestito ‘buono’, cioè a quello che è in grado di autosostenersi, quanto al rimborso, di diffondere tutti i benefìci del dinamismo prodotto dalla liquidità immessa nel sistema, di accrescere i servizi a sostegno della vita (mobilità, sicurezza, salute, cultura, nidi, asili, scuola, sanità, assistenza, relazioni sociali). Per rispettare queste semplici regole, ogni indebitamento deve essere in grado di produrre un ritorno economico, sia con Entrate dirette, come fitti e canoni, che indirette, come imposte e tariffe. Solo così non viene scaricato sui cittadini l’onere della restituzione, definito tecnicamente come ‘servizio del debito’. Purtroppo, osservando le condizioni della Città e la struttura finanziaria del Bilancio Comunale, sembra che sia mancata la giusta attenzione, negli anni. E’ ben noto, ormai, che il pesante Disavanzo di € 172.0 milioni a fine 2022 rappresenti l’altezza dei debiti assunti per fronteggiare spese in sostituzione di entrate inesigibili, ‘mancate o mancanti’. Meglio, il Disavanzo è la quantità di debito che eccede la possibilità dell’Ente di assicurarne la copertura con regolarità. E, infatti, proprio per questo, si è deciso di ricorrere al decreto Aiuti, così diluendo in 20 anni, fino al 2044, il rimborso di un peso finanziario ‘non sopportabile’. Le rate da mettere da parte alla fine di ogni esercizio sono costituite in buona parte da entrate rivenienti da nuove imposizioni e da ricavi da alienazioni. Del totale importo, circa la metà, pari a € 84.555.523,63, è da recuperare entro la fine del 2026. Cioè entro tre anni. Questo, può essere motivo di gravi criticità perché, anno dopo anno, si riducono le fonti di Entrata per molteplici motivi e. tra essi, in particolare, quello dalla decrescita demografica. Nei primi otto mesi, la Città ha perso ben 1.631 residenti, passando da 128.136 a 126.505 abitanti (fonte: Istat). Dal 2016 al 2022, ne sono mancati ben 7.125, di cui 6.491 nella classe di età dai 25 ai 64 anni. E’ ovvio che, se si riduce il numero di chi può pagare, si realizzano minori incassi e aumenta il carico per chi resta. Peraltro, neppure crescono i redditi, per l’insufficiente presenza di attività qualificate rispetto a pizzerie e friggitorie che offrono lavori poco professionali, a tempo determinato o part time. Per la crisi, poi, continua la chiusura delle imprese e dei negozi, non si sviluppa l’autoimprenditorialità e non si avviano quelle attività artigianali della tradizione che potrebbero dare una spinta anche al turismo di qualità. In assenza di una nuova progettualità, non saranno le feste e le bancarelle per far vendere cioccolato, dolci e panettoni a dare un futuro alla Comunità.
Da quanto si vede in giro, è probabile che il Disavanzo non sia stato generato da scelte di vantaggio. In Città si dovrebbe discutere di questo, senza timori. E, invece, sembra che l’argomento appassioni poco mentre ci si indebita per 100 milioni per rifare lo Stadio Arechi, che è usato per venti partite interne della squadra granata, e altri 15 per farne uno provvisorio. E, a collaterale, si sente della possibile vendita ai privati della Piscina Vitale perché non ci sono i soldi per ripararla. Contraddizioni inspiegabili. Senza dire che, nelle variazioni di Bilancio deliberate nel Consiglio del 30 Novembre, è stato elevato l’indebitamento di quest’anno di altri € 4,0 milioni, salvo errore (fonte: Variazione). Con un Bilancio in rientro, questo non si potrebbe fare e, comunque, non sarebbe giusto farlo, a meno che non sia un debito ‘buono’. Su questo, qualche dubbio ci può essere. In verità, l’unica certezza di cui oggi disponiamo è quella dell’aumento dell’addizionale Irpef, dal primo Gennaio, all’1,15% per pagare le rate di un debito probabilmente ‘cattivo’.
*Ali per la Città