Questa sera, alle ore 19,30, il clarinettista Gaetano Falzarano e il quartetto d’archi dell’ Accademia Sannita, chiuderanno la rassegna Concerti in Luci d’artista, firmata da Antonia Willburger nell’incantevole cornice della Chiesa di Santa Lucia
Di OLGA CHIEFFI
Ultimo appuntamento per la rassegna, “Concerti in Luci d’Artista”, organizzata dal CTA di Salerno, diretta da Antonia Willburger, in collaborazione con l’ Associazione “Amici dei Concerti di Villa Guariglia”, con il patrocinio ed il supporto del Comune di Salerno ed il Conservatorio Statale di Musica “G. Martucci” di Salerno, che si affida per il gran finale al clarinetto di Gaetano Falzarano e al Quartetto d’Archi dell’Accademia Sannita, composto da Luigi Abate e Raffaele Tiseo al violino, Alessandro Zerella alla viola e Silvano Maria Fusco al cello. Nella suggestiva cornice della Chiesa di Santa Lucia, venerdì 13 gennaio alle ore 19,30, i riflettori si accenderanno sul clarinettista Gaetano Falzarano, docente del nostro conservatorio, endorcer Josef-Musik-Okinawa con cui collabora nella realizzazione di un nuovi strumenti. Solista della Wind Simphonietta dal 1992, ha inciso per la Edi-Pan-Roma , Kicco Music-Milano e per gli studi radiofonici della rai di Roma. Dal 2007 è Direttore Artistico dell’Orchestra Sinfonica Giovanile Europea di Valmontone Fondazione, con la quale ha effettuato la registrazione live del concerto K622 in la maggiore di W. A. Mozart. Dal 2003 è docente del corso annuale di perfezionamento in clarinetto organizzato dall’associazione musicale Unasp-Acli progetto musica di Airola (BN) Ha tenuto e tiene regolarmente tournée sia come solista che in formazione cameristiche esibendosi nelle sale e teatri più prestigiose di livello internazionale, ma lo abbiamo visto anche nel golfo mistico del massimo salernitano in qualità di prima parte. Gaetano Falzarano inaugurerà la serata con l’esecuzione del Quintetto per Clarinetto e archi in Si Bemolle maggiore op.34, composto da Carl Maria Von Weber dal 1811 al 1815 per Heinrich Barmann. L’opera è scritta essenzialmente per porre in luce le indubbie risorse di virtuoso del clarinettista, in particolare nel finale “strappa applausi”, mentre agli archi è affidato un ruolo di mero accompagnamento in una sorta di “pocket concert” scritto per deliziare il pubblico con i suoi effetti. Se questo giudizio è in parte condivisibile, non si può negare l’indubbio fascino esercitato da quest’opera, che è rimasta costantemente in repertorio, e che sapientemente mescola tratti preromantici, brillantezza Biedermeier e classicismo viennese. In questa pagina brilla la prestanza dello strumento a fiato, come si avverte fin dall’ avvio del primo movimento, con la lenta introduzione degli archi che preparano il brillante ingresso del clarinetto. Nel breve Adagio si compie una singolare metamorfosi, perché la Fantasia con cui intitola il movimento è una vera e propria aria da concerto. La malinconia si stempera nel Capriccio, terzo movimento che trasfigura l’ originario Minuetto in un gioco ironico dalle venature romantiche. Il finale è una girandola di virtuosismi, ben preparati dal quartetto di archi che ottemperano al ruolo, con classe ed eleganza. Seconda parte della serata dedicata interamente a George Gershwin, visto dagli archi dell’Accademia Sannita. Nell’eterna disputa sulla collocazione di George Gershwin – jazz? Musica colta? Musica leggera? -, i contendenti appaiono spesso maneggiare categorie astratte. Per l’uomo della strada, la musica di Gershwin è “jazz”. I jazzisti, a sentirlo dire, sghignazzano: Gershwin scrisse molte canzoni su cui è stimolante improvvisare, ma non fu un jazzman, non ne aveva i titoli tecnico-formali. In ambiente colto, si preferisce dire che Gershwin operò la sintesi del jazz con la musica colta. In effetti, la sua opera fu una riflessione sulle contraddizioni di un’epoca in cui la cultura scritta cominciava a sentirsi assediata e accerchiata dalle culture orali di tutto il mondo. Ma pensare che esistano il problema e la soluzione è assurdo. Ed ecco “An American in Paris” con il suo invidiatissimo tema blues, esposto nella partitura originale dalla tromba solista, un momento magico per liricità espressa e per l’enorme potere evocativo, sprigionato da questa sorta di incantato e sognante notturno orchestrale. Seguirà la Rhapsody in Blue, una pagina straordinariamente popolare in cui Gershwin impiega uno stile nel quale rientrano spesso formule melodiche tipiche della tradizione folk nord-americana, che è un autentico crogiuolo di culture. Una perfetta sintesi delle intenzioni, dei concetti e dei sentimenti che stanno all’ origine della composizione è stata suggerita dallo stesso autore: «Non trovai nuovi temi ma elaborai il materiale tematico già esistente nella mia mente e tentai di concepire una composizione integrale. L’ho costruita come una specie di caleidoscopio musicale dell’ America, col nostro miscuglio di razze, il nostro incomparabile brio, i nostri blues, la nostra pazzia metropolitana”. Finale con un piccolo saggio del famoso song-book, di George Gershwin, una interessantissima summa dell’ universo esecutivo ed improvvisativo del compositore, con la vivace “J got Rhythm”, la sognante e sensuale “Embraceable You”, una melodia delle origini, Swanee e Summertime, la più celebre delle ninna nanne, da Porgy & Bess.