di Andrea Pellegrino
«Mi hanno fatto abbattere il mio ufficio con una mazza». Claudio Grillo è uno dei protagonisti dello smantellamento dell’Ideal Standard ai tempi del “sogno” Sea Park. Precedentemente, nell’opificio era stato responsabile delle ispezioni finali, con un breve passaggio anche nel reparto della colatura. Qui si utilizzava il famoso talco, di cui si sta cercando di dimostrare la nocività delle sostanze. «Il talco veniva utilizzato – spiega – sui pezzi danneggiati o che necessitavano di una nuova cottura. Ma immaginate che in quella stanza la polvere era tanta. Così come elevata era la temperatura: fissa a 28 gradi». In fabbrica Claudio Grillo, però, si occupava della parte finale del prodotto. Ossia dell’ultimo controllo prima di spedire i pezzi. Ad eccezione del breve periodo nel reparto colatura, la sua esperienza peggiore è stata sicuramente dopo la chiusura. Infatti è uno dei dipendenti dell’Ideal Standard richiamati per sistemare i capannoni e consegnarli alla nuova società che avrebbe assunto – così come promesso – tutto il personale. «L’Ideal Standard si portò tutto – spiega Claudio Grillo – tranne i pezzi che non potevano essere trasportati ed i forni. Si pensi che anche i motori dei condizionatori vennero rimossi, anche al costo di rompere la copertura di eternit. In pratica quanto di più pericoloso esista, con la conseguente dispersione delle fibre di amianto. Pezzi – dice ancora – che trovano spazio nelle vasche riempite insieme al restante materiale di risulta. Ma la vecchia società non lasciò nulla se non pezzi non trasportabili. Anche i fili di rame furono portati via, così come furono letteralmente strappati i camini, sempre sulle coperture di eternit». Vasche ed ogni buco riempiti e poi coperti. «Compresi i tunnel utilizzati per le ispezioni o per le emergenze – racconta – al di sotto dei forni. Qui ci sono tutti i componenti dei forni, ad eccezione dei vagonetti. Credo che alcune buche siano ancora aperte, almeno nella parte esterna. Perché – spiega – quella interna fu tutta ricoperta con il cemento per l’installazione del nuovo pavimento». Ma ovunque c’è interrato un pezzo di quella fabbrica. «Anche nelle vasche utilizzate – dice ancora – per lo stoccaggio delle materie prime». La beffa maggiore? «Aver – conclude – dovuto distruggere con le mie mani il mio ufficio per ritrovarmi poi senza lavoro».