I salernitani (politici) sono rimasti a bocca asciutta. Almeno coloro che immaginavano già posti di prestigio romano. De Luca da un lato, Carfagna dall’altro. Per intenderci. Certo è che occorrerà attendere la lista dei sottosegretari ma quasi certamente non ci sarà nessuno dei due, a differenza di altri (Vaccaro in primis) che potrebbe avere ottime chance. I lettiani qui a Salerno hanno vinto su tutta linea e possono brindare nella loro associazione 360 gradi di via Raffaele Conforti. Cosa che, invece, a via Manzo non può accadere. Non tanto per lo sfratto (pare in via di risoluzione) che pende sulla testa del segretario provinciale Nicola Landolfi, quanto per una linea politica ormai trapassata. Eppure De Luca avrebbe potuto sposare l’idea renziana. D’altronde fu il suo primo ospite ricoperto tra l’altro di elogi e complimenti. Ed invece, il sindaco di Salerno ha preferito Bersani e con lui ha perso la sua partita, forse, in cuor suo, sapendo già di essere sconfitto. Così, nonostante il ventennio politico sulle spalle, De Luca è destinato ancora una volta a restare chiuso tra le quattro mura della sua Salerno, combattendo ogni mattina tra Crescent, lungomare, San Matteo e Teatro Verdi. Ed ora è troppo tardi (o comodo) contestare a destra e manca il suo Partito democratico. Solo ieri il suo ultimo post: «Nell’ultima settimana abbiamo visto un uomo di 88 anni che ha mostrato autorevolezza, intelligenza e acume politico, e abbiamo visto giovanotti, a iniziare da quelli del Pd, che hanno fatto una figura da niente e hanno dato un’immagine penosa di opportunismo e di pochezza». E non è detto che il primo cittadino salernitano non veda già sfumare la sua candidatura a governatore della Campania, o, peggio ancora, una successione a Palazzo di Città più complicata. La scena è cambiata e comunque vada il Partito democratico non sarà più lo stesso. Non solo per una questione di angolatura o di correntismo (come lo definisce lo stesso De Luca) quanto all’impronta di questo Governo che per la stessa ammissione del Capo della Stato, è politico punto e basta.
E la conformazione politica non sfugge ai tanti osservatori. Se si guarda bene, collocazioni, partiti, uomini e deleghe, la scissione del Partito democratico appare quasi del tutto naturale e necessaria. Volendo dare una collocazione, seppur embrionale, il governo Letta altro non potrebbe essere che lo specchio del nuovo partito popolare europeo.
Premiership centrista (tanto il capo, quanto il suo vice) ministri quasi tutti di discendenza democristiana o comunque moderata. Dunque un quadro che lo stesso Berlusconi sperava da tempo e che ora vede concretizzarsi mentre lui gioca il suo ruolo da protagonista, assicurandosi anche la successione al trono.
Per il resto, con oggi la partita si conclude e inizia una nuova era, inedita per la democrazia italiana. Un cambio di rotta a trecentosessanta gradi, difficile da digerire soprattutto all’interno del Partito democratico che alla vigilia dell’apertura delle urne, avevano opzionato già tutti i posti disponibili nelle stanze dei bottoni. Ed, invece, mai come questa volta il detto va a pennello: «Mai fare i conti senza l’oste».
29 aprile 2013