Gomalan Brass: inseguendo il Suono - Le Cronache
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Gomalan Brass: inseguendo il Suono

Gomalan Brass: inseguendo il Suono

Il quintetto teatral-stereofonico ha stregato il pubblico eterogeneo del teatro Verdi, invaso dai maestri degli ottoni, addetti ai lavori e tanti appassionati che hanno scoperto tutto il fascino della sezione più roboante dell’orchestra sinfonica

 

di Olga Chieffi

Concerto imperdibile, sabato sera al Teatro Verdi di Salerno, con i Gomalan Brass, in cui abbiamo potuto ascoltare gli ottoni come non mai, un quintetto, quello composto da Marco Pierobon e Francesco Gibellini alla tromba, Nilo Caracristi al corno, Gianluca Scipioni al trombone e Stefano Ammannati alla tuba, che riesce a far propri materiali musicali diversissimi fra loro, autori di pagine classiche e operistiche, spingendosi anche nei territori del blues, della canzone e del jazz, con sempre pari freschezza ed efficacia delle sue interpretazioni. Un regalo i Gomalan Brass, che si è voluto fare e ci ha fatto Antonio Marzullo, da trombonista quale è, che ha attirato al massimo cittadino addetti ai lavori, strumentisti e appassionati degli ottoni, tanto da spostare l’intera formazione dell’ Orchestra di Fiati del Cilento, agli ordini dei Maestri Alessandro Schiavo e Leo Capezzuto, nella platea del teatro. Il Quintetto ha inaugurato la performance dal titolo “Made in Italy” con un omaggio al dedicatario del nostro massimo Giuseppe Verdi e aggiungo personalmente anche al suo direttore artistico Daniel Oren, principiando la serata con la sinfonia del Nabucco, opera cult nel repertorio del maestro israeliano, in cui gli ottoni ci hanno fatto toccare con mano un suono che può diventare gesto figurato, sentimenti ed evocazioni, effetti orchestrali, mezzi espressivi, articolati e riuniti con grande libertà, ritrovandosi completamente a proprio agio, tra i colori verdiani. Chi sceglie di vivere la sua vita su di un palcoscenico, il teatro lo sposa per intero ed è così anche per i Gomalan, che tra un pezzo e l’altro, presentando i vari titoli hanno rivelato doti di fini intrattenitori e performer. Aspetta l’alba Calaf la cui musica trabocca limpidezza, sciorina brillii, come i rilucenti ottoni, e non “abbassan gli occhi” le due trombe nei duelli della trilogia del dollaro nei cui suoni abbiamo intuito l’acre odore della polvere da sparo, il sudore, il sapore metallico del sangue, proprio quella supposta “verità” che voleva Morricone per schizzare il West fasullo di Sergio Leone, scomponendo cubisticamente la strumentazione e dividendo i suoni, spazializzandoli, rendendo ogni segnale sonoro perfettamente percepibile senza bisogno di nessun pieno orchestrale. Il West di Morricone è una rassegna di indici musicali, una semiotica in musica, che i Gomalan, solo in cinque, sono riusciti a ricreare indovinando perfettamente il suono del nostro genio musicale. Cambio di suono e di atmosfera per la marcia di trionfale dell’Aida che ha fatto scattare Marco Pierobon e Francesco Gibellini in due minuti il primo sul loggione del teatro il secondo in un palco del terzo ordine, attuando così la spazializzazione del suono, unitamente alla sorpresa del pubblico, con una promessa che speriamo sia mantenuta, ovvero l’esecuzione completa del capolavoro verdiano, con tanto di coro e solisti, di cui abbiamo avuto un accenno con Gloria all’Egitto. Temi rotiani con il Padrino, i Clowns, la Strada e Romeo e Giulietta, in cui il suono ha da ritornar classico per omaggiare la nota tardo-romantica dell’autore. Il fil rouge non s’interrompe affatto, passando alla canzone italiana con Luigi Tenco con la messa in voce della tuba di Stefano Ammannati, con il tema che passa poi al suono evocativo del corno di Nilo Caracristi, perle in un arrangiamento di grande equilibrio. Il volto senza sorriso di Buster Keaton nel brano di Mauro Ottolini è stato perfettamente schizzato dal quintetto che ha condensato il blues, il dixieland, il jazz, amalgamando la varietà di questi aspetti grazie al loro dono melodico assolutamente personale, tanto da rendere universale il caratteristico, creando allo stesso tempo con gli strumenti dei personaggi, tra cui anche il cantante di jazz, da parte del corno, di assoluto realismo. Tutto il “nero” della canzone italiana in “Ciao, Fred”, un ipotetico incontro tra il Fred Buscaglione di “Che Bambola” ed “Eri Piccola così”, con il Bongusto di “Spaghetti a Detroit”, per chiudere con un tango del trombettista David Short scisso, in questo romanzo rio-platense in rosso e nero, dove vivono materiali europei e materiali oltreoceanici, conservando una parte di sé inguaribilmente straniera. Applausi scroscianti del pubblico e due bis “Soul Bossa Nova” di Quincy Jones, con uno scatenato Gianluca Scipioni, e “The Feather Theme” da Forrest Gump per il saluto finale con il quintetto schierato in platea, quasi ad abbracciare con il loro suono tutto il pubblico del teatro Verdi.