di Vit o Pinto
Era il 19 settembre del 1846 quando, intorno alle quindici, su una montagna vicina al villaggio di La Salette, due pastorelli, Mélanie Calvat di 15 anni e Maximin Giraud di 11 anni, vedono, in una luce risplendente, una “bella signora”, vestita in una foggia straniera e seduta su una roccia. E’ questa la prima delle apparizioni che i due pastorelli ricevono da parte della Vergine Maria e che saranno riconosciute dalla Chiesa cattolica come le apparizione della Madonna de La Salette. Tant’è che il 10 novembre 1851 il vescovo di Grenoble promulgò il seguente giudizio: «Noi crediamo che l’apparizione della Vergine ai due pastorelli, il 19 settembre 1846 … nella parrocchia di La Salette … porti al suo interno tutte le caratteristiche della verità e che il credente ha ragione di crederlo indubitabile e certo». Inutile dire che la cosa ebbe subito una vasta eco soprattutto per quanto la Vergine rivelava ai due pastorelli. Mancavano ancora dodici anni alle apparizioni di Lourdes a Bernadette e ben 71 anni a quelle ai tre pastorelli di Fatima. Una apparizione, quella de La Salette, che ha avuto un cammino ben diverso da quello delle due altre successive, soprattutto per una sorta di ostilità che fu attuata dal clero francese nei confronti di Mélanie Calvat, rea di aver riferito uno dei messaggi della Vergine e relativo ai comportamenti poco religiosi tenuti dal clero francese. Tant’è che la causa di beatificazione della Mélanie si è persa nei meandri del tempo, nonostante Papa Pio X, all’udire il racconto della vita di Mélanie disse che era una santa. All’epoca degli avvenimenti e negli anni successivi, sino alla morte, la donna ha avuto una vita difficile in un clima di diffidenza e talvolta di derisione, se non proprio di persecuzione, tanto che dovette prima rifugiarsi in Inghilterra e, dopo un lungo girovagare, venne in Italia, dove ottenne ospitalità presso il Vescovo di Castellammare di Stabia, Mons. Francesco Petagna, che credeva a quanto la donna riferiva, tenendola in grande considerazione. E in questi lunghi anni, 17 per la precisione, trascorsi nel territorio salernitano, fu ospite presso una struttura religiosa del paese di Sant’Antonio Abate, ed ebbe un intenso rapporto con i Padri Redentoristi del convento di Pagani, luogo di primaria importanza per quella Congregazione di religiosi. La Calvat, infatti, ebbe come suo confessore proprio un redentorista, Padre Vincenzo Venditti, postulatore generale della Congregazione, il quale si preoccupò di portare nell’archivio conventuale alcuni indumenti particolari della Calvat: trattasi di camicie da notte, fazzoletti, tovaglie ed altra biancheria per un totale di 39 capi. E fin qui nulla di eccezionale se non fosse per quelle figure a tutto campo dipinte in un colore rosso sangue: trattasi di alcune bruciature (sembra dovute alle sue visioni del Purgatorio) e di emografie, che una mano invisibile ha composto in disegni e scritte con il sangue della mistica soprattutto durante i giorni di quella settimana in cui la Chiesa cattolica celebra il ricordo della Passione del Cristo. “Il fenomeno dell’emografia, o scrittura a sangue – spiega il professore Valerio Marinelli studioso di questi fenomeni – consiste nella formazione prodigiosa di scritte e simboli di carattere religioso su fazzoletti, garzine, indumenti e panni vari da parte del sangue affluente dalle stimmate o dalla cute”, un fenomeno ovviamente sovrannaturale, tant’è che la sua realizzazione viene attribuita ad una “energia intelligente che pilota le particelle di sangue”. Ma come per la Calvat, anche i suoi indumenti “emografati” non hanno avuto una vita tranquilla. Erano, infatti, conservati e dimenticati in un contenitore negli archivi del Convento di Pagani quando un giovane professo redentorista, Ciro Avella, non li scoprì nel 1999. Non conoscendone la provenienza né il valore, l’allora archivista provinciale, padre Giovanni Vicidomini chiese al giovane professo di conservarli alla meno peggio. Ordinato sacerdote, Ciro Avella fu assegnato alla casa di Ciorani. Temendo che quegli indumenti potessero andare persi, decise di portarli con sé, conservandoli accuratamente in una scatola. Intanto all’archivio di Pagani faceva capolino un’altra vicenda religiosa: la causa di beatificazione della Serva di Dio Maddalena Fezza, per la quale il prof. Giovanni Pepe, collaboratore laico dell’archivio redentorista di Pagani, era alla ricerca di documenti e oggetti che potevano essere appartenuti alla Fezza. Saputo dell’esistenza di questi capi di biancheria e pensando che potessero essere importanti per la sua ricerca, provvide a far esaminare, informalmente, un reperto dal professore napoletano Ciro di Nunzio, esperto di ricerca applicata in ambito forense, il quale riferì che i disegni e le macchie erano delle emografie, anche se era necessario procedere ad indagini più approfondite. Proseguendo nella sua indagine, il prof. Pepe nel 2021, studiando i manoscritti di padre Salvatore Schiavone, scoprì che quegli indumenti erano appartenuti a Mélanie Calvat, la pastorella di La Salette e depositati nell’archivio di Pagani dal suo confessore, padre Vincenzo Venditti. Nel gennaio del 2022, padre Antonio Pupo, archivista provinciale provvide, quindi, a riportare i reperti nella casa di Pagani, dove sono ancora conservati, in attesa di indagini approfondite che potranno svelare diversi misteri. Non poca è stata l’emozione quando il prof. Pepe ha delicatamente aperto, stendendola sul tavolo, la camicia di Mélanie Calvat offrendola all’obiettivo di Pio Peruzzini. Quei disegni, quelle immagini sono decisamente inspiegabili. Di questi indumenti “mistici” si erano perse le tracce, ma ecco che nelle librerie giunge un’opera inedita di Jacques Maritain, uno dei massimi neotomisti nonché tra i più grandi pensatori cattolici, curata nella pubblicazione da Michel Corteville, titolata “La Salette”. In quest’opera, infatti, dopo aver ricordato che in questi tempi l’immagine ha preso il sopravvento sulla scrittura si legge: «…la Provvidenza ha quindi riservato per i nostri tempi non parole, ma immagini, mai viste poi nella storia, archiviate nell’anonimato presso il santuario di Sant’Alfonso de’ Liguori di Pagani». Un viaggio affascinante nell’ignoto di un’anima che, se confermato, aprirebbe nuovi orizzonti sulla vita di Mélanie Calvat, riconoscendogli un cammino mistico-spirituale profondo e tutto da scoprire, come ha sottolineato Padre Gianmatteo Roggio, missionario di La Salette. Un fenomeno che non è estraneo ad altre mistiche, come la beata Maria Bolognesi e la quasi nostra contemporanea Natuzza Evolo per la quale è in corso la causa di beatificazione. Anzi per quest’ultima si ricordano i disegni impressi su alcuni suoi indumenti che sono molto simili a quelli della Mélanie Calvat: una croce con ai piedi figure umane, un sole e voli di uccelli; e lascia molto stupiti che quei segni a distanza di oltre un secolo, si possono ritrovare sugli indumenti di Natuzza. Un’approfondita indagine sugli indumenti della Calvat potrebbe far riprendere quel cammino che porta agli onori degli altari, per una donna che visse molti anni nella nostra provincia e che si spense ad Altamura nella notte tra il 14 e il 15 dicembre 1904, sei mesi dopo il suo arrivo in Puglia. Si racconta che un contadino passando sotto il suo balcone quella sera udì un canto liturgico corale provenire dalla sua finestra; l’uomo pensò che la signora fosse in compagnia, invece fu ritrovata da sola a terra esanime.