di Luigi Gravagnuolo
È di grande interesse, oltre che condivisibile, l’appello lanciato dall’on. Guglielmo Scarlato lo scorso 11 gennaio su leCronache al mondo dell’associazionismo civico ffinché si dia vita ad una grande battaglia contro la vigente legge elettorale, che notoriamente prevede le liste bloccate per l’elezione dei nostri rappresentanti in Parlamento. Liste bloccate e bloccanti il pieno avveramento del dettato costituzionale sulla titolarità della sovranità.
Se il popolo, a cui appartiene la sovranità ex dettato costituzionale, non può scegliere liberamente i propri rappresentanti, ne risulta limitata con tutta evidenza la sua prerogativa. E il popolo, mutilato di una componente rilevante della propria sovranità, reagisce col disimpegno, interrotto saltuariamente da rivolte antipolitiche. L’astensionismo degli elettori ha ormai raggiunto livelli patologici per una democrazia. E ciò lo si deve in buona parte alle liste bloccate.
Oggi le liste le fanno i cerchi magici dei leader personali, i quali poi le propinano agli elettori. Prendere o lasciare. Ti senti idealmente del partito X ma il candidato blindato Y non ti convince? Non hai altra scelta che turarti il naso e votarlo, oppure di astenerti. Certo, potresti votare un’altra lista, ma sarebbe un gesto di stizza ai confini con l’autolesionismo. E chi l’ha detto che in un’altra lista bloccata trovi in posizione utile un candidato migliore?
Perché allora il legislatore italiano non corregge questa macroscopica induzione al disimpegno politico? La risposta sta nella modalità grazie alla quale i singoli parlamentari – quelli che oggi siedono a Montecitorio ed a Palazzo Madama, sono loro che dovrebbero cambiare la legge elettorale – sono stati eletti: con le liste bloccate, appunto.
Il primo interesse di ogni parlamentare oggi in carica è di venire ricandidato in posizione utile, godendo ancora del meccanismo delle liste bloccate. Per questo i nostri legislatori perdono più tempo a cercare di entrare nelle grazie dei propri leader, quelli che comporranno le liste, che a rispondere alle esigenze del territorio in cui sono stati eletti.
Scarlato menziona, a titolo di esempio, il caso di Matteo Salvini, lui lumbard purosangue eletto in Puglia. Chissà quante volte lo avranno rivisto gli elettori del suo collegio pugliese passata la campagna elettorale. E poi, i casi della veneta Maria Alberta Casellati, candidata ed eletta in Basilicata, di Marcello Pera, toscano eletto in Sardegna, e di Stefania Craxi, milanese doc, eletta in Sicilia.
I ‘paracudati’ dalle segreterie nazionali nei vari collegi ‘sicuri’ trovano, quando accade, un solo ostacolo da superare: i leader locali, spesso indisponibili a lasciare spazio nel proprio territorio al paracudato da Roma di turno. A meno di adeguate garanzie e contropartite politiche per sé.
Al momento della composizione delle liste, il popolo da rappresentare e il territorio da tutelare restano ai margini delle scelte. A fronte di ciò, ai ‘militanti di base’ – se possiamo ancora chiamarli così – non resta che tentare di pesare sulla composizione delle liste, schierandosi a favore dell’uno o dell’altro leader. Così i partiti scivolano dal perimetro di comunità valoriali verso la sfera torbida delle aggregazioni tra gruppi di potere . E “gli eletti – conclude Scarlato – diventano inevitabilmente una casta”.
Ora certo, come in tutti i campi, ci sono le eccezioni virtuose. Eletti che avvertono la responsabilità della rappresentanza del proprio territorio e vi si dedicano con passione. Ma appunto, sono eccezioni. La regola è che, una volta eletti, non li vedi più.
Giusta dunque l’iniziativa dell’on. Scarlato per il ritorno a liste aperte alla possibilità per gli elettori di esprimere la propria preferenza sull’uno o sull’altro candidato. A tale iniziativa aderisco con assoluta convinzione. Integrerei poi la proposta con un sommesso suggerimento.
Tra le tante cause della patologia della nostra democrazia c’è anche il disordine e l’instabilità nel tempo delle leggi elettorali.
Oggi, in Italia, per le amministrazioni comunali vige una legge elettorale; per quelle provinciali un’altra; così per le regionali, per le nazionali e le europee. E nell’ultimo trentennio le leggi elettorali nazionali e regionali si sono fatte e disfatte con frequenza schizofrenica. Cosa ancora più grave, modificandole con colpi di mano a pochi mesi dal voto. Così non può funzionare alcun sistema democratico. Tanto meno possono funzionare i partiti, che della democrazia sono il fulcro.
L’appartenenza e la militanza in un partito, quando non sono determinate da un calcolo di convenienza per se stessi, sono consequenziali a scelte ideali ed a condivisione di valori. Ma hanno pieno e legittimo diritto di cittadinanza nella militanza politica anche le aspirazioni e le ambizioni personali, che vengono coltivate nel recinto delle regole condivise. Tra queste, quelle elettorali.
Se le norme prevedono – come nel caso attuale dell’Italia per la Camera ed il Senato – le liste bloccate, la vita interna ai partiti assumerà la fenomenologia ben descritta da Scarlato nel suo appello dell’11 gennaio e qui sopra sommariamente riportata. Se poi alle regionali ci saranno le preferenze, come di fatto è, gli aspiranti consiglieri avranno un approccio alla vita interna al partito diverso. Quando poi arriviamo ai Comuni, un altro ancora. Queste diverse modalità di militanza politica finiscono per collidere dentro le mura dei partiti e per provocare disorientamento ed implosioni periodiche.
Non parliamo poi quando, da un sistema proporzionale che premia le identità peculiari ad ogni partito, si passa ex abrupto ad uno maggioritario, che richiede convergenze ampie tra partiti; i quali quindi, necessariamente, devono mettere da parte le proprie identità divisive. Peggio ancora, quando per cinque anni ci si è preparati al voto con un sistema elettorale e a quattro-sei mesi dalle elezioni ci si ritrova a doversi adattare ad un sistema del tutto nuovo.
Ecco, se è vero che nessun sistema elettorale è perfetto, è ancor più vero che il peggiore tra tutti è la babele dei sistemi elettorali. Il fatto è che oggi per cambiare una legge elettorale basta la maggioranza semplice in Parlamento. Troverei interessante se, unitamente alla reintroduzione delle preferenze, ci si proponesse l’adozione di una norma costituzionale che preveda, per le modifiche delle leggi elettorali, la maggioranza qualificata dei 2/3 e il divieto di modificarle a meno di un anno dalla scadenza del mandato. Solo la modifica del quorum necessario per varare una legge elettorale, non una blindatura integrale delle leggi elettorali attraverso la loro costituzionalizzazione. E sarebbe anche giusto, è a mio avviso abnorme che una legge elettorale possa essere decisa solo dalla maggioranza di turno.