E’ nel dare che noi riceviamo. Con questa frase di San Francesco, Sabato 16 novembre inviteremo tutti a donare parte della propria spesa per chi non può farla. Quest’anno la Colletta gode anche dell’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica.
Un gesto prima di tutto educativo, ancor prima che solidale, in un mondo che ci invita, ogni giorno, a fare il contrario. Possesso, lamento, solitudine sono parole che sembrano avere la meglio su gratuità, letizia, compagnia. La Giornata Nazionale della Colletta Alimentare è un invito prima di tutto a partire dalla positività del reale, a non far vincere scoramento e paura, a mettersi insieme per avere e dare ancora coraggio e speranza.
Non basta lamentarsi per l’aumento dei poveri. Chi dice 5 milioni e chi ne conta 6. Ma non sono numeri. Sono persone. Non serve contare, fare stime. Occorre aiutarli. Muoversi, fare qualcosa. Ciascuno nel suo piccolo. O grande. Don Primo Mazzolari diceva: “Vorrei pregarvi di non chiedermi quanti sono i poveri… io non li ho mai contati i poveri, perché non si possono contare: i poveri si abbracciano, non si contano”. Questo ci aiuta a vincere anche la ripetuta obiezione per la quale il nostro aiuto è solo “una goccia nell’infinito oceano”. Proviamo piuttosto a pensare quanto infinito bene ci può essere in ogni piccola goccia di aiuto. Spesso un pacco alimentare è lo strumento per farsi aprire una porta, per ascoltare i bisogni, per dare un abbraccio, un sorriso e anche un po’ di speranza. Per guardare le persone negli occhi. Perché gli occhi dicono molto più di tante parole. Un importante capo di stato disse a Madre Teresa: “La cosa che più mi colpisce sono i tuoi occhi”. E lei gli rispose: “I miei occhi sono belli perché hanno raccolto molte lacrime”. Non si sono voltati dall’altra parte per non guardare. Se non distogliamo lo sguardo, se non ci voltiamo dall’altra parte potremo fare esperienza di quello che dice San Francesco: è nel dare che noi riceviamo. Così, gesti come la Colletta o portare un pacco alimentare ad una persona bisognosa saranno il regalo più bello che ciascuno può fare a sé stesso. La Colletta è utile e fa bene, prima di tutto, a chi la fa.
Oggi saremo tutti protagonisti di un gesto gioioso, ordinato e rivoluzionario. Si, rivoluzionario. Perché più potente delle bombe che terrorizzano il mondo. La paura, infatti, è figlia di una vita concepita in solitudine e senza legami. Tentiamo di batterla con la condivisione. Animati da quello che don Giussani – fondatore del Banco Alimentare – aveva a cuore: “Condividere i bisogni per condividere il senso della vita”.
In tempi di perdurante crisi e di paura, con serie minacce anche alla semplice convivenza civile, adulti e giovani, bambini e anziani fanno i volontari, gomito a gomito, tutti con la stessa pettorina arancione. Un esercito di bene che si contrappone agli eserciti che ogni giorno fanno più notizia, per lottare la dura battaglia contro la fame e contro un individualismo imperante che lascia soli chi vive nel bisogno e, spesso, anche noi stessi. La Colletta mette insieme un popolo di diverse etnie e religioni che, dopo una giornata davanti ai supermercati, si ritroverà fino a notte fonda, a caricare e scaricare pacchi di alimenti. Finiremo insieme, come accade dal 28 anni, esausti, sfiniti ma contenti.
Il reale e concreto patrimonio del nostro Paese è questo: la silenziosa moltitudine di uomini e donne che è impegnata in opere di carità, di accoglienza ed educative. Un patrimonio, senza il quale, avremmo più povertà, più solitudine, più sfiducia e rassegnazione. Il momento che viviamo è difficile: non manca solo il lavoro ma addirittura il cibo da mettere a tavola. Ma sembra mancare quello che serve di più a tutti noi: la speranza.
Il rapporto Caritas presentato pochi giorni fa, racconta di una povertà che ormai si eredita. E’ una cosa che non può lasciare ciascuno di noi senza fiato e con il cuore in gola. Non possiamo permettere che questo accada. Che chi nasce in una famiglia povera debba essere condannato a rimanere tale. Il cuore degli uomini grida speranza. Don Giussani ripeteva sempre: “Che coraggio ci vuole per sostenere la speranza degli uomini!”. Ma il coraggio – come la speranza – non possiamo darcelo da soli, come Manzoni fa dire a don Abbondio ne “I promessi sposi”. Occorre qualcun altro, occorre una compagnia che ci dia coraggio. Coraggio, che deriva da “cordis”, cuore. Perché la vita è bella e unita se si mette il cuore in quel che si fa.
Roberto Tuorto – Direttore Generale Banco Alimentare Campania