Giffoni, scricchiola la casa del poverello di Assisi - Le Cronache Provincia
Provincia Giffoni Valle Piana

Giffoni, scricchiola la casa del poverello di Assisi

Giffoni, scricchiola la casa del poverello di Assisi

di Nicola Russomando

S. Francesco d’Assisi è universalmente noto, oltre che per la sua santità, per essere l’autore del “Cantico di frate Sole”, meglio conosciuto come il “Cantico delle Creature”, da cui papa Francesco ha tratto ispirazione per la sua enciclica ecologica “Laudato sì”. Il Cantico di frate Sole, testo spesso ricondotto nelle letture contemporanee a documento ecologista ante litteram, al contrario è totalmente radicato nella visione cristiana del Dio creatore, la cui opera, attraverso tutte le sue creature, si manifesta come inno di lode. Persino attraverso la morte, “nostra sora Morte corporale”, nella duplice funzione di ricongiungimento al Creatore, ma anche di monito per “ quelli ke morrano ne le peccata mortali”. Questo prezioso documento della fede e della spiritualità di Francesco viene datato al 1224 e costituisce anche il primo documento ufficiale della letteratura italiana. Alla produzione in volgare dell’Assisiate, più di recente, alla metà del secolo scorso, è stato attribuito un testo dall’incipit “Audite poverelle dal Signore vocate”, che il Santo ha composto nel 1225 per le seguaci di S. Chiara d’Assisi, il ramo femminile di quello che sarà l’Ordine francescano. A tale definitiva attribuzione ha concorso anche il contributo di Felice Accrocca, storico del francescanesimo e attuale arcivescovo di Benevento. Un testo di particolare rilevanza, in prosa rimata, con chiare analogie linguistiche con il Cantico delle creature, composto di quattro lasse di versi diseguali, che i ministri generali dei tre rami della famiglia francescana, i Minori, i Conventuali e i Cappuccini, hanno voluto trasfondere in una lettera a firma congiunta indirizzata alle Clarisse, nell’VIII centenario della sua composizione, proprio nella festa di S. Chiara l’11 agosto. Questa ricorrenza e questa data hanno fatto da sfondo alla celebrazione che si è tenuta presso il Convento dei Padri Cappuccini di Giffoni Valle Piana, che ha visto la presenza in funzione di celebrante dell’abate della Badia di Cava D. Michele Petruzzelli, nella duplice veste di Ordinario e di delegato per la vita consacrata, ovvero per gli Ordini religiosi, nella Conferenza episcopale campana. La solenne celebrazione “in pontificalibus” è stata preceduta dalla meditazione sulle Beatitudini secondo il testo del Vangelo di Matteo che l’abate ha offerto ad una chiesa gremita di fedeli. Al centro della riflessione “la distorsione” che l’uomo opera allontanandosi dalla pratica delle beatitudini evangeliche, cui si oppongono nella storia umana i peccati capitali. La presenza dell’abate Petruzzelli a Giffoni viene a confermare lo speciale rapporto che si è sviluppato tra la locale Comunità dei frati Cappuccini e la Badia di Cava. Rapporto che è nato dal fronte della carità fraterna e che vede nella vita consacrata una vocazione comune al di là delle specificità delle singole professioni religiose. E tale è stato anche il tenore del ringraziamento che il guardiano del convento, P. Salvatore De Stefano, ha indirizzato all’abate. Un ringraziamento grondante di gratitudine per la chiara manifestazione di amicizia del benedettino verso la comunità cappuccina, ma anche segnato da tutte le ansie per la situazione di limbo a cui il Convento di Giffoni è esposto nella paventata prospettiva della sua soppressione. Queste preoccupazioni sono state ulteriormente manifestate al presule dai singoli fedeli nell’ambito dell’agape fraterna che è stata offerta dal Terz’ordine secolare ai presenti in un clima di generale festa pur temperato dalla ricorrente ansia per la sopravvivenza. Infatti, appare quantomeno anomalo che un convento, frequentato dai fedeli di tutta la Valle del Picentino, ultima casa religiosa attiva nella zona, debba essere materia delle più varie speculazioni circa il suo destino. Tanto più con l’approssimarsi nel 2026 dell’VIII centenario della morte di S. Francesco – “il Serafico Padre” come amano definirlo i Francescani -, il quale fece delle beatitudini evangeliche, ripercorse dall’abate, il modello di vita per sè e per i suoi frati all’insegna della povertà e come scudo da ogni eccessiva sollecitazione di ordine materiale. Oggi il modello imperante sembra essere l’inverso, l’affanno per la concentrazione delle risorse, in uno stile di governo secolare a tutto detrimento della vita comunitaria, che è la vera ragion d’essere degli Ordini religiosi, e, soprattutto, del bene spirituale dei fedeli. Bene spirituale che nella chiesa sinodale di papa Francesco comporta il coinvolgimento anche dei fedeli laici nei processi decisionali mediante il loro ascolto. Almeno a livello di proclami formali. Giova, dunque, nell’occasione ricordare quanto S. Francesco in forma di esortazione scriveva in prosa musicata, “verba cum cantu”, alle sue Poverelle: “Non guardate a la vita de fore, / ka quella dello spirito è migliore”. Una vita dello spirito assente in alcuni membri di Ordini religiosi con evidenti conseguenze sulla tenuta della stessa compagine comunitaria e con l’inevitabile rinuncia ad essere segno profetico nel mondo.