Giffoni Festival patrimonio dell’Unesco - Le Cronache
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Giffoni Festival patrimonio dell’Unesco

Giffoni Festival patrimonio dell’Unesco

Di Michelangelo Eusso
Non si capisce perché la pratica per l’inserimento del Giffoni Film Festival, avviata nel 2017, non abbia ancora ricevuto l’approvazione che si attendeva per il 2020. Ma la sua conclusione appare urgente, ora che il Festival è privo assolutamente di fondi pubblici per la cultura, per incomprensibili (e un po’ meschini) motivi di schermaglie politiche che non consentono al Festival, al momento, di programmare l’edizione del luglio prossimo. Insomma, è come se l’Italia chiudesse la Galleria degli Uffizi perché mancano i soldi per acquistare i piumini e gli stracci per pulire i quadri e le statue. Parrebbe un pretesto comico, così come sembra paradossale (e forse strumentale) la mancata concessione dei fondi alla Campania per la cultura. Quella Campania in cui il Governatore De Luca ha espresso pubblicamente qualche commento un po’ salace verso il Premier Meloni. E’ il caso che la Politica metta da parte contrasti inopportuni, per finalità di corto respiro. Questo accade perché forse in tanti, tra quelli che fanno politica di professione, non hanno provato l’emozione di partecipare al Festival. Solo con la presenza a Giffoni, nei giorni dell’evento, giovanissimi o vecchi che si sia, si può percepire quel sentimento raro nella vita, ma imprescindibile nella crescita dello spirito, che è l’Emozione. L’Emozione, come l’intuizione, sono l’unica prova vera del contatto con Dio. Sono attimi inspiegabili, che nessuna Intelligenza Artificiale potrà mai avere. Ho sperimentato un’Emozione da adulto partecipando al Festival fin dagli anni ’80. A quel tempo, nell’edizione del 1987, Claudio Gubitosi aveva raccolto sul palco una delegazione ufficiale dei registi dell’ancora URSS, presieduta da Gorbaciov. A partire da Nikita Milchalkov, prossimo al Premio Oscar di qualche anno dopo, ma già famosissimo regista, c’era l’esordiente figlia di Sergej Bondarchuk, il più grande regista russo vivente. Suo il capolavoro del 1967, Guerra e Pace, tratto dall’opera magna di Lev Tolstoj, che è rimasto il colossal più grande mai prodotto, con decine di migliaia di comparse. E poi c’erano registi Uzbeki e Tartari, con film poveri intrisi di magia su Samarcanda e l’introvabile geografia della terra di Sherazade. Sulla terrazza a Praiano dell’avvocato Giuseppe Lanocita, eminenza grigia e avvocato ufficiale del Partito Comunista di allora, parlai a lungo con la troupe che arrivava dall’Est misterioso che con la Perestroika di Gorbaciov iniziava ad aprirsi.
Chiesi a uno dei maestri come mai nel suo film ci fossero di continuo persone con gli ombrelli aperti. Mi rispose che un ombrello è un’estensione fisica della persona, ed è l’unica possibilità per la nostra individualità di andare oltre i confini del corpo che finora ci è stata concessa. Forse, gli studenti di Hong Kong che nel 2014 diedero vita alla “Rivoluzione degli ombrelli” contro la dittatura cinese, tenendo aperti nella sfilata migliaia di ombrelli gialli, avevano visto il Film russo presentato al Giffoni Festival che riesce così, con la bacchetta magica, anche a influenzare i movimenti giovanili dell’Asia lontana. Ma l’alchimia segreta di Giffoni tocca anche gli adulti. Solo a Giffoni puoi incontrare i grandi del cinema, e partecipare fisicamente all’incontro favolistico con l’aura magica che si portano appresso gli attori e i registi famosi. Ho conosciuto a Giffoni l’inglese Ken Loach, il più celebre interprete della rabbia proletaria, nel 2004, e parlato del declino dell’Utopia della Sinistra inglese come di quella italiana, e come di quella mondiale. Nella sera calda di luglio, nel 2002 ci siamo abbracciati io e John Voight Premio Oscar e Golden Globe, il padre di Angelina Jolie. Aveva saputo da Claudio Gubitosi che ero un giudice particolare, forse estroso, che amava girare cortometraggi controcorrente. Voight costrinse l’auto, che lo portava via, a fermarsi per conoscermi di persona. E ho conosciuto Oliver Stone, il gigante della riflessione autocritica americana sulla guerra del Vietnam. E gigante lo è davvero. Torreggiava, nella saletta riservata dove Gubitosi lo aveva accolto, su una decina di persone intervenute per l’incontro. Claudio fu chiamato fuori per un’urgenza,e mi delegò all’intrattenimento con questo Premio Oscar, più Golden Globe e Orso d’Oro a Berlino. Gli porsi più domande sul suo capolavoro, Platoon, ma il mio pessimo inglese non era comunicativo. Ripeteva continuamente, con un senso di ammirazione, il mio nome “Michelangelo”. Ma poi, la sua attenzione fu catturata da una giovane e bellissima signora bionda, alta, che se lo mangiava con micidiali occhi azzurri. Iniziò a ripetere il suo cognome, Califano, per annotarlo nell’agenda immaginaria della sua memoria. Gubitosi, quando arrivò per portarlo via per la conferenza stampa ruppe l’imbarazzo della situazione. E Oliver Stone andò via, contrariato per il mancato approccio, lanciando un ultimo sguardo deluso alla bellezza nordica. Inguaribile Dongiovanni! Con Franco Zeffirelli, conosciuto in occasione del Festival, nacque una grande amicizia, e una frequentazione, durata molti anni. Con lui e con Claudio Gubitosi organizzammo un incontro a Cava dei Tirreni nel 2002, al Comune, con i ragazzini delle Medie. Zeffirelli venne a Cava per visitare la Mostra dei Giocattoli Antichi al Convento di San Francesco, rimasto un evento storico collegato a una sorta di edizione invernale del Festival.
La capacità di Giffoni e l’interazione con tutto ciò che riguarda l’infanzia e l’adolescenza, di tutti i giovanissimi del mondo. La formula magica di questo candidato al Patrimonio dell’Unesco è il suo potere di mediazione psicologica di trapasso tra il mondo onirico e fiabesco dell’infanzia e quello del passaggio traumatico all’adolescenza, quando si prende consapevolezza del deludente contatto con la realtà. Giffoni attenua la disillusione adolescenziale, facendo capire, con la sua formula, che la realtà può essere sempre, in qualche modo, il prolungamento di vita della fiaba. Con l’ottimistica speranza che da qualche angolo possono spuntare, pur sempre,
Fate in carne e ossa.