Nel 2008 la collega Vera Arabino realizzò per Cronache una bella rubrica per ricordare i salernitani che hanno dato lustro alla nostra città. Ne riproponiamo gli scritti. di Vera Arabino «Ma ‘o ssaje che tu veramente si bravo…» Antonio Angrisano ancora se li ricorda quei complimenti buttati lì, quasi con nonchalance. «E’ che papà non era tipo da ogni scarrafone è bello ‘a mamma soja e soprattutto in teatro con me giustamente era molto severo – sorride – Quella volta in realtà mi ascoltò su Radio 2, in una soap opera radiofonica che registravo a Napoli». Oltre a fare l’attore, infatti, il secondogenito del grande Franco Angrisano, che oggi ha 52 anni e lavora soprattutto a Roma, è un apprezzato doppiatore, che ha prestato la sua voce ad interpreti di film pluripremiati come “Million Dollar Baby” e “Good night and good luck”.La verve dev’essere sicuramente genetica: «Papà diceva sempre che l’unico serio in famiglia è mio fratello maggiore Lello, che è ingegnere e dirigente di un’importante compagnia telefonica, mentre io ero stato ‘infettato’ da lui». Un’infezione di quelle incurabili, il sacro fuoco dell’arte, i cui segni si sono manifestati fin da bambino: «Il mio esordio sul palco risale a quando avevo dieci anni – racconta – Nel 1966 partecipai a “Questi fantasmi” che Tina Trapassi e la figlia Annabella Schiavone misero in scena al teatro Verdi». Anche se l’emozione più grande la provò quando il padre lo ritenne maturo, dopo una gavetta già lunga malgrado la giovane età, per segnalarlo al grande Eduardo: «Era il 1978 e papà mi propose a De Filippo come figlio de “Il sindaco”. Lui, dopo avermi provinato nel camerino a Cinecittà, mi scritturò – spiega – Quella che ricordo è la doppia emozione del giorno della prima lettura: non volevo fare brutta figura nè con Eduardo nè con mio padre, che era presente. A quanto pare me la cavai bene e quando papà gli chiese di me, Eduardo rispose: “‘o guaglione promette bene”. Una piccola gioia che mi inorgoglì avergli dato». Invece di calcare insieme le scene non si sono date molte occasioni: «E’ sempre stato molto partecipe di tutte le fasi del mio percorso artistico, ma purtroppo non abbiamo fatto molti lavori insieme – racconta Antonio – Quella che ricordo con piacere è una commedia musicale intitolata “Tripoli bel sol d’amore” che mettemmo in scena a Caserta nel 1989. Lui era capocomico e, al termine della rappresentazione, che fu molto apprezzata dal pubblico, mi scrisse un biglietto che custodisco gelosamente: “Auguri dal papà capocomico per tanti successi come stasera”. Non era tipo da manifestazioni eclatanti, ma sapeva sempre toccare il cuore». Del resto alla famiglia Franco Angrisano era molto legato: «Papà era un uomo tradizionalista, estremamente attaccato ai suoi cari – spiega – e poi, a dirla tutta, era molto geloso di mia madre Adriana, che è stata il classico angelo del focolare, molto devota a lui e alla famiglia». Un rapporto d’amore molto bello ed intenso: «In fin dei conti papà era quasi dipendente da mamma. Aveva una sua fragilità che nascondeva dietro il temperamento solare ed esuberante – racconta – Credo che questo sia spesso un tratto distintivo dell’animo dell’artista. Fa parte di quella sensibilità che è necessaria per dedicarsi a quest’arte». Un’arte a cui Franco Angrisano si è votato con entusiasmo per oltre cinquant’anni: un attore poliedrico come pochi, che ha saputo spaziare tra teatro e radio, cinema e televisione, imponendosi come uno dei più bravi e versatili caratteristi. Ma anche un maestro nel senso vero del termine, che soprattutto negli ultimi anni ha trasmesso la sua passione a tanti attori in erba: «Papà ha aiutato decine di giovani nel corso degli anni e poi ha incoraggiato sempre il teatro amatoriale – spiega Antonio – Peccato che non sia stato sufficiente a dargli quella linfa, che gli venne a mancare dopo la morte di mamma, ad appena 59 anni, nel 1990. Purtroppo dopo la sua scomparsa si lasciò un po’ andare: troppo grande il dolore e la mancanza. Mi fa piacere però che ancora oggi venga ricordato, oltre che per la sua bravura di artista, per la sua profonda dedizione verso le nuove leve del teatro».
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