di Andrea Pellegrino
Salerno? «Occorreva scegliere una vocazione. Questa sarebbe stata la strada vincente».
Ferdinando Cappuccio è stato consigliere comunale ed assessore all’urbanistica della Giunta Giordano. Oggi è alla guida dell’enoteca provinciale di Salerno ed è impegnato nella valorizzazione e promozione dell’enogastronomia della nostra provincia. Del passato ricorda gli anni della giunta laica e di sinistra e le innovazioni che furono messe in campo.
La Salerno di oggi rispetto a quella di ieri
«Il problema di Salerno ruota tutto intorno all’identità di città. Salerno fino agli anni ’80 quasi respingeva l’unità. Non tutti, soprattutto coloro che provenivano dai paesi limitrofi ed avevano deciso di risiedere qui, non si sentivano Salernitani. Si viveva nei quartieri senza unità. Il momento di massima unità del passato penso che sia stato quando Soglia portò la Salernitana in serie B. Poi arriviamo alla seconda metà degli anni ’80 e l’urbanistica fu un mezzo per riunificare la città»
Parla della svolta di Salerno?
«C’era bisogno di unione, appunto. L’elezione dell’85 portò Scozia sindaco, con un plebiscito di voti. Fu penso una occasione mancata per Salerno. Scozia è stato un gran galantuomo ma osteggiato dal suo stesso partito: basti pensare che all’epoca la Dc contava quasi tre segretari provinciali contemporaneamente, ognuno espressione di una corrente partitica. Da qui l’immobilismo e la necessità di creare una nuova Salerno. Nacque la necessità di voltare pagina e nacque la giunta laica e di sinistra. Per la prima volta in Italia, il partito di maggioranza fu messo all’opposizione. Si cercò di portare avanti anche delle idee già precedentemente avanzate. Parlo del lavoro di Enzo Napoli e dell’urbanistica. Angelo Manzo, all’epoca assessore all’urbanistica, si affiancò di tecnici, costituendo quel che definivamo il “comitato direttorio”. Fu Angelo Manzo che introdusse gli standard urbanistici. Successivamente fui nominato io assessore con delega all’urbanistica. Dopo le elezioni e con il contributo determinante del partito repubblicano, la delega all’urbanistica toccò a me».
I suoi primi atti?
«Proseguire il lavoro di Manzo, nonostante la mole di ricorsi e la necessità di non bloccare la città. Ci fu una seduta del Tar che sugli standard discusse due giorni. Ancora ci fu, poi, la necessità del piano regolatore».
Ed arrivò a Bohigas?
«In verità il mio primo contatto fu con Renzo Piano, oggi senatore a vita. Ma mi diede un appuntamento dopo un anno e mezzo. Bohigas lo conobbi grazie ad un convegno organizzato dall’ordine degli architetti di Salerno. Dopo un primo incontro lo invitai a Salerno proponendogli la redazione del piano. Bohigas voleva identificare l’anima della città, voleva coinvolgere tutti: comprese le associazioni. Nella mia giunta determinammo l’incarico ma poi ci fu tangentopoli e l’amministrazione cadde. Quello che mi dispiace è che intorno a Bohigas dovevano crescere anche gli architetti locali. Poteva essere un punto di riferimento ma non ho visto intorno a lui tutto questo fermento».
Ma al di là del piano regolatore, quale è la vocazione di Salerno?
«Si è tentato di utilizzare tutto, mentre occorreva scegliere una vocazione. Si sarebbe avuto qualcosa di vincente. Una città turistica? Una città del commercio? Al momento non c’è ancora una scelta ben precisa perché ognuna ha le sue caratteristiche e necessita di determinate scelte politiche. Penso alla necessità di un fronte del mare se si pensa ad una città turistica, o ad outlet cittadini se si vuole la città commerciale».
La S Vignelli?
«Uno scopo potrebbe averlo. E’ un logo della città»
Cosa pensa del Crescent?
«Voglio vederlo finito. Non voglio esprimere un giudizio prima che sia completata l’opera. Ad esempio ricordo che da assessore all’urbanistica realizzai il trincerone. All’epoca ebbe critiche durissime, oggi è una opera indispensabile. Anzi. Non solo proseguita ma anche arricchita di nuovi tratti. Stessa cosa accadde per la pedonalizzazione del Corso Vittorio Emanuele. Ora è apprezzata da tutti».
Ma è vero che anche il Pci non voleva il trincerone?
«Non solo. Guardi che Bohigas è stato nominato grazie alla Dc che stava all’opposizione. Praticamente lo ha voluto il partito repubblicano, naturalmente con il via libera convinto del sindaco Giordano, persona perbene. Il Pci era contrario a tante cose».
Anche ad una Università a Salerno città?
«In questo caso fu più De Mita a volerla fuori Salerno. Ed è stato un grave errore. La città di Salerno ha un rapporto distaccato con l’Università. Eppure si potevano utilizzare i contenitori vuoti».
Luci d’Artista?
«Sono state una grande intuizione. Sicuramente costa parecchio e ai fini commerciali non è la soluzione per far arricchire la città. Giusta intuizione ma il programma va rivisto. Anche ridimensionando le zone interessate ma arricchendo il periodo con eventi anche di grosso spessore. Oggi quello che rende è il lusso».
Che pensa di Daniel Oren e del Teatro Verdi?
«Il programma del teatro, così come la stagione operistica del maestro Oren, devono uscire fuori dalle mura dello stesso teatro. Penso ad una arena, di un polo lirico, al di fuori del “Verdi”. La cultura porta persone».
Dopo De Luca?
«Sarà difficile. La situazione non è rosea dal punto di vista economico. Mi auguro che si presenti qualcuno che non abbia paura».
Si era parlato di un progetto per la realizzazione di un ristorante dei “Feudi di San Gregorio”, poi tramontato. Lei da esperto del settore cosa ne pensa?
«Penso che a Salerno occorra prima tutelare le aziende e i produttori locali. Guido Arzano (presidente della Camera di Commercio, ndr), sta lanciando la campagna “Consumo salernitano: mangia sano, bevi salernitano”. Ecco questa è la mia teoria. Chiaramente se ci sono altri investimenti ben vengano. Ma prima occorre tutelare le aziende del nostro territorio. Quanto al progetto del nuovo ristorante non condividevo l’impostazione urbanistica. Contrario, dunque, alla creazione di una struttura in una aiuola del teatro Verdi».
Ed invece una enoteca all’interno del Verdi?
«Sarei felice. Vedere i locali del casino sociale chiusi è per me motivo di dispiacere. Ben venga questo tipo di iniziativa».