
Un’ amicizia tra le note: Federico Sanguineti e Marco Filippo Romano
La notizia della scomparsa di Federico Sanguineti ha raggiunto l’amico baritono al teatro alla Scala di Milano, ove è il sacrestano nella produzione di Tosca firmata Davide Livermore e Michele Gamba, che ne ha schizzato il ricordo. “Ho conosciuto Federico Sanguineti durante la produzione de’ “Il turco in Italia”, del teatro municipale di Piacenza. Era la recita di domenica, la seconda replica, ero a pranzo con mia moglie, parlavo dello spettacolo e si avvicinò lui, che non conoscevo e cominciò a sciorinare a memoria tutte le battute del mio ruolo, Don Geronio. Lui disse di esser lui don Geronio poiché in quel momento la sua situazione familiare, rispecchiava quella del personaggio rossiniano. Di qui è esplosa una grande amicizia, mi ha seguito dappertutto, me e mia moglie Silvia, e diceva di essere la mia claque personale. Ricordo l’inaugurazione del 2018 del San Carlo con il Così fan tutte diretto da Riccardo Muti e Federico che aveva acquistato i biglietti per tutte le repliche in prima fila. Amava follemente l’opera, conosceva a mena dito tutti i libretti e l’opera che amava maggiormente era proprio “Il Turco in Italia”, poiché gliela faceva ascoltare da ragazzino un suo zio e l’aveva perfettamente memorizzata. Mi ha seguito piacevolmente dappertutto fin quando non ha avuto problemi di salute. E purtroppo qui a Salerno nell’Italiana non è potuto venire, poiché già stava male, ma è venuta sua figlia Francesca. Tante volte a Torino per me al regio e parimenti io sono andato ad ascoltarlo a Bologna nei suoi reading, l’ultimo “Partiture per corpi”, ove leggeva le poesie del padre su musiche di Paolo Ravaglia. Le nostre telefonate duravano oltre l’ora e mezza e si parlava esclusivamente di politica e mai di musica, e come diceva lui “Io e tuo padre siamo gli ultimi due comunisti rimasti in Italia”, una analisi stringente sulla situazione attuale. Ma a me piaceva interrogarlo su Dante, che legava naturalmente al presente e sulla sua ricerca intorno alle donne artiste. Poi, ogni volta che lo ricoveravano una telefonata, “Marco questa è l’ultima volta che ci sentiamo” e io gli rispondevo picche, che lo ripeteva per scaramanzia, ed ora mi sembra così strano dirlo, poiché è veramente accaduto. L’ultima volta che è venuto ad ascoltarmi è stato al teatro Ristori di Verona dove ero Leporello. Un pranzo con lui durato ben due ore, dove si è discusso di tutto, di suo padre e sua madre, della sua infanzia, del rapporto strano col padre e del suo licenziamento dall’università quando la Meloni è divenuta premier. Ancora, veniva sempre a Martina Franca quando cantavo lì, con la sua compagna Elonisia, poiché si era innamorato anche della cittadina pugliese. Il suo segno distintivo, il cappello è mio merito. Prima della nostra conoscenza non ne portava, ma io ho questa passione. Il suo primo cappello lo prese a Venezia, in occasione di un mio Elisir d’amore a La Fenice, da Impresa, dove sembravano cappellini lì da matto, ma erano costosissimi. Uno di pelle che sembrava distrutto fu il suo primo, poi di lì i cilindri dove nascondeva spesso un uovo per fare il mago. Venerdì, ai suoi funerali, io che non canto Verdi, dovrò accennare il Confutatis del Requiem, quelle macerie della Provvidenza, a sorpresa, in chiesa.
Marco Filippo Romano Baritono