di Salvatore Memoli
Anche se il tempo passa, non sono chiusi gli interrogativi, le domande, i dubbi rimasti inespressi sulla scomparsa della signora Enza Basso Memoli e dell’operaio di famiglia William Jeet Singh, detto Sonu. Le vicende giudiziarie possono giungere al loro capolinea naturale ed andare in archiviazione, le attenzioni giornalistiche possono scemare e risultare inconsistenti ma quello che è successo un giorno caldissimo dell’estate del 2007 a Salerno non può essere dimenticato. Non si archivia nella memoria dei familiari e di quella parte della città che conserva vivo il ricordo di una tragedia umana, familiare e sociale che continua a scuotere le coscienze e mette paura. A dispetto delle memorie corte, delle archiviazioni rituali, della coltre di polvere investigativa, il cerchio non è chiuso, non è stata mai detta la parola fine, non sono stati collocati tutti i tasselli sulla scena del crimine che rimane aperta, desolatamente priva di agenti, affidata alla sola memoria che lotta vigorosamente, come un pendolo impazzito tra i ricordi del cuore e la ricerca rigidamente lucida delle cause che quel 12 luglio 2007 sconvolsero la vita delle famiglie interessate, l’opinione pubblica, la generosità investigativa che si appalesò ben presto confusionaria, lacunosa, speciosa nella ricerca degli scomparsi e nella valutazione dei luoghi e dei testimoni in esso presenti. Enza Basso Memoli non aveva nessun legame con gli indiani presenti per lavoro nella sua tenuta, oltre al vincolo della collaborazione di cui disponeva. Non si interessava alle loro vicende sociali ed amministrative se non per chiedere la legalizzazione del rapporto di lavoro e non esprimeva valutazioni se non per testimoniare un sentimento umanissimo di accoglienza e di solidarietà molto materno nei loro riguardi, soprattutto del giovanissimo Sonu che all’epoca dei fatti aveva circa 22 anni. Nessuna fuga di amore, nessuna vendetta legata alle professione dei figli, nessun allontanamento volontario, nessun atto di ribellione emotiva di lavoratori verso la loro datrice di lavoro. Se è vero che la signora Memoli conservava una certa riservatezza nelle relazioni con i collaboratori, il suo stile non precludeva un immenso ruolo umanitario di supplenza sociale ed affettiva verso delle persone per le quali si interessava frequentemente( senza esserne tenuta) a preparare un buon pasto o regali di cose utili per migliorare la loro vita. Quel triste giorno si compiva un misterioso epilogo dei rapporti tra gli esponenti della comunità indiava, un fatto che stigmatizzava la difficile realtà sociale dei lavoratori stranieri che restano legati alle loro etnie e ai loro garanti che diventano i loro aguzzini. Uno di loro, Sonu, aveva raggiunto la sua emancipazione sociale ottenendo dalla famiglia Memoli il contratto di lavoro ed il relativo permesso di soggiorno. Ma non aveva il passaporto per cui doveva recuperarlo sa chi glie lo aveva tolto al suo arrivo, i suoi caporali e le sue istituzioni diplomatiche che avrebbero potuto ricostituirglielo. Quel giorno di luglio, già dalla sera prima?, qualcuno con l’aiuto di connazionale e con membri di altre etnie?, con fare delinquenziale?, venne a riscuotere quello che era il credito vantato da William Jeet Sing. In questa possibile scena si colloca la imprevista presenza della signora Enza Basso Memoli. Una presenza imprevista, fastidiosa, pericolosa che avrebbe potuto riconoscere qualcuno dei presenti nella tenuta, in un contesto non escluso di violenze perpetrate ai danni di Sonu. Il mistero è disvelato nella sua più logica ricostruzione che risponde benne alle attese di verità dei familiari, della gente che vuol sapere, della curiosità che non esita a diventare umanità. La signora Memoli si trova nel posto sbagliato in un momento sbagliato, è costretta a subire un martirio che ha contenuti sociali chiari che rispondono alla disperazione degli stranieri abbandonato a regole ed uomini aguzzìni. Il cerchio non è chiuso nei suoi particolari e non si chiuderà finché non si considererà la vicenda della signora Enza Basso Memoli e di William Jeet Sing un martirio moderno, un simbolo delle contraddizioni relazionali, sociali ed etniche che si vivono nella confusa Italia delle non regole e delle cosiddette sharie, definiamole così, dettate dalle violenze tribali delle etnie presenti tra noi che offendono la nostra civiltà e legalità. Gli assenti di questa vicenda sono i martiri di queste situazioni che non si vogliono descrivere e raccontare, preferendo lasciare i cerchi aperti.