Di Peppe Rinaldi
Nella scorsa puntata di questo piccolo viaggio nel mondo dei potenziali e, talvolta, reali abusi edilizi, siamo inciampati nella vicenda del centro commerciale di recente inaugurato in località Serracapilli. Un marchio noto e consolidato che, al pari dell’analoga faccenda della costruzione realizzata sulla rampa d’accesso all’ex A3, pure costringe l’osservatore a interrogarsi sul «come sia stato possibile», vista la relativa storia e il relativo spessore imprenditoriale, farsi risucchiare nei magheggi locali al punto da rischiare uno stop forzoso per mano delle autorità di vigilanza che non sempre fingono di non vedere. Nel caso dell’ex A3 lo si è capito e lo stanno approfondendo in queste ore i magistrati. Del secondo non sappiamo, almeno non ancora, se vi siano state analoghe consuetudini. Vedremo.
Ad ogni buon conto, cambia poco perché da quanto questo giornale è stato in grado di ricostruire, le cose sarebbero andate in una maniera che potremmo sintetizzare così: chi, a monte, doveva rilasciare uno dei pareri necessari al via libera per l’opera lavorava per conto di chi doveva beneficiare di quel parere, in pratica sia per l’ente pubblico e sia per l’impresa interessata contemporaneamente; chi, a valle, doveva collaudare le opere realizzate si sarebbe distratto sorvolando sull’assenza dei requisiti di legge attuali per il collaudo stesso, quindi collaudando cosa e come non è così chiaro: mentre, di rimando, potrebbe essere chiara l’origine dell’incarico professionale dal momento che dei due professionisti locali coinvolti, uno è storicamente legato al sindaco e l’altro è fautore di una lista di maggioranza afferente a un pezzo dell’esecutivo; un provvedimento comunale di autorizzazione viene meno per effetto di una variante chiesta dall’impresa (tra l’altro, interna a un Pua) ma la struttura sarà inaugurata comunque e sulla base di questo stesso provvedimento che, però, è “scaduto”; la stessa variante, chiesta per alcune modifiche, pare sia sparita successivamente dalla pratica; sono, ancora, spuntate opere in cemento armato per la cui realizzazione sarebbe stato necessario/obbligatorio rivolgersi al Genio civile ma pure questo pare non sia stato fatto e la colata di cemento, peraltro, si troverebbe sull’argine di un torrente, la qual cosa spalanca la porta a qualunque ipotesi pessimistica visti i bischizzi climatici (e non si pensi alle superstizioni green bensì a ciò che la natura insegna da sempre, sebbene senza molto successo, all’umanità); le compensazioni che l’impresa s’era impegnata a riconoscere alla sfera pubblica non sarebbero andate nella direzione prevista dalla legge, e qualcos’altro ancora che proviamo ora a riassumere secondo un ordine cronologico preciso in favore dei nostri infaticabili cinque lettori, i quali non sono obbligati a conoscere la legge urbanistica e avrebbero bisogno di capire perché, su queste colonne, ci si è inoltrati fino al punto di scrivere con temerarietà che la struttura sarebbe «senza licenza».
La cronologia degli atti
Lo sarebbe per un principio semplice che regola la materia specifica: se chiedo un permesso per fare una cosa devo ottenere una serie di certificazioni, che mi saranno concesse dopo una regolare procedura, una via crucis sfibrante e alienante quanto si vuole (e lo è) ma ineludibile finché le leggi sono in vigore. Quelle certificazioni valgono unicamente per il tipo di progetto che ho presentato, pertanto, ove mai intendessi modificarlo, queste autorizzazioni non valgono più e bisogna rifare l’iter daccapo facendosi rilasciare i medesimi permessi uno per uno, lo dice la legge non Le Cronache. Quindi, se io realizzo le modifiche al progetto iniziale per il quale sono stato autorizzato dall’ente pubblico (genericamente inteso) ma non rifaccio la procedura è come se aprissi «senza licenza», appunto, perché non c’è la base legale a sorreggere il tutto. In altre parole: se posso fare X e invece faccio Y, non potrò poi disinvoltamente utilizzare i permessi che ho avuto per fare X in quanto avrei dovuto avere quelli per fare Y che, a quanto pare, nel nostro caso non ci sono. Qui sta il famoso “busillis” che squilibra tutta la faccenda, unitamente all’imbarazzante conflitto di interessi emergente tra consulenze professionali private e ruoli pubblici istituzionali.
La cronologia, gravida di acronimi, commi e numeri, è questa: nel febbraio del 2018 la società interessata alla realizzazione della maxi struttura avvia il procedimento per avere il titolo edilizio, la vecchia licenza in pratica, ai sensi di una legge regionale. Sempre nello stesso mese l’Asl dà parere favorevole per l’apertura di due strutture commerciali. A maggio arriva il via libera dei Vigili del fuoco. Nel successivo ottobre è stata ottenuta, poi, l’autorizzazione paesaggistica, rilasciata in una settimana dall’organo competente. Nel marzo del 2019 – l’amministrazione Cariello sarebbe stata spazzata via un anno e mezzo dopo – il Comune di Eboli rilascia parere favorevole ai soli fini urbanistici e, anche qui, dopo pochi giorni (dal 23/3 all’1/4), arriva il Provvedimento Unico (la vecchia concessione edilizia e commerciale) al quale avrebbe dovuto far seguito la presentazione all’altro ufficio competente (il Suap) della famosa Scia (Segnalazione certificata di inizio attività).
A questo punto ci sono circa tre anni di vuoto, epidemia cinese e manette al sindaco incluse, fino al giugno 2022 quando il Comune rilascia un altro permesso di legge, la cosiddetta Aua (Autorizzazione unica ambientale) che servirà come base alla Sovrintendenza per rilasciare i suoi permessi: per avere questa carta c’è bisogno, ovviamente, di documenti e perizie del caso, tutti atti propedeutici e obbligatori, e qui li abbiamo, cioè esiste una perizia tecnica asseverata da un architetto che, però, ricopriva anche la carica di presidente di una commissione pubblica che deve valutare proprio questi progetti e rilasciare pareri di legalità, sui quali poi si baseranno altri enti per la propria parte autorizzativa. Insomma, par di capire che il professionista che ha fatto il progetto abbia sottoposto gli atti a se stesso per valutarne legittimità e congruità rispetto al quadro normativo. Bisognerà ora capire la Sovrintendenza cosa ne pensa di ciò una volta venutane a conoscenza.
Un iter altalenante
Dopo sei mesi circa (novembre 2022) la società deposita una richiesta di variante perché aveva realizzato opere non conformi rispetto a quel che era stata autorizzata a fare: niente di grave, succede miliardi di volte, il punto è che se fai questo devi far seguire anche il resto, cioè quel che dicevamo prima. Obblighi che riguardano sia l’imprenditore privato ma soprattutto la parte pubblica, che è quella che sta lì apposta per garantire il rispetto delle leggi. Ora, avendo la struttura aperto i battenti sulla base del provvedimento del 2019 (il n.5) ma in uno stato di fatto diverso da quanto è in quell’atto contenuto, questo potrebbe significare che qualcosa non abbia funzionato a dovere. Ad esempio: nelle stanze del Comune hanno verificato queste circostanze? Hanno controllato che ci siano tutti i pareri previsti dalle leggi? Hanno comunicato all’impresa la decadenza di quel provvedimento visto che ha presentato una variante costruendo rampe e muri in cemento armato per i quali non aveva i permessi, invitandola (obbligandola?) a rifare la procedura così come avviene – diciamo – per tutti? Il muro di contenimento in cemento armato realizzato sull’alveo del torrente Tufara, oggi semi nascosto da una fitta vegetazione, è stato autorizzato/notificato al Genio Civile? Sembrerebbe di no. Quindi, la domanda è sempre la medesima: come mai, quasi per magia e tenuto conto dello stop forzato di tanto tempo, il centro commerciale ha potuto aprire, cosa è cambiato nelle stanze dell’ente pubblico e nelle dinamiche del potere di gestione degli assessorati di riferimento con relativa struttura amministrativa?
(2_fine.
La precedente puntata
è stata pubblicata
sabato 9 marzo 2024)