Se chi ora scrive si fosse spaventato dinanzi a minacce, intimidazioni e rappresaglie, a quest’ora starebbe a servire ai tavoli, a fare l’avvocato o il pensatore solitario da qualche parte. Eppure ne sono arrivate, nel corso di oltre venti anni di professione, quantità industriali di segnali ravvicinati di quel tipo, alcuni anche preoccupanti e seri, altri meno. Per non parlare delle querele, tutte indistintamente «scapolate» in un modo o nell’altro e senza mai rimediare una specifica condanna. Per il futuro, ovviamente, non possiamo garantire. Questo mestiere, oltre agli immani sacrifici per la vita privata (almeno per chi l’abbia svolto in un certo modo) così va avanti, c’è sempre qualcuno che perde la trebisonda e che per un motivo o per l’altro minaccia sfracelli. Cose che, in fondo, capiremmo pure. Bene, fatta questa – non si sa quanto doverosa – premessa registriamo un fatterello antipatico capitato al nostro collaboratore Luciano Bruno, reo di aver rivelato che l’acqua è umida e che al sole c’è la luce, vale a dire che alcune isole dell’arcipelago del Pd ebolitano si siano incontrate a cena per studiare eventuali mosse e tattiche in vista del congresso locale del partito. Nello specifico, Bruno ha raccontato, peraltro anche con una buona dose di irritante ironia, che in quel di Santa Cecilia, frazione di Eboli nota per molte cose ma soprattutto per essere l’area di residenza storica del clan Conte oggi tornato al potere in città dopo 30 anni circa di emarginazione (ma questa è un’altra lunga storia adesso) si siano attovagliati (copyright Dagospia) tra loro membri della famiglia Conte e il presidente di Improsta, Luca Sgroia. Di quest’ultimo e della relativa rettifica/precisazione/smentita, questo giornale ha dato conto, com’è giusto che avvenga. Poi, le cose stanno come stanno e si vedrà. Ieri, però, il fratello del sindaco, l’ex consigliere provinciale Antonio Conte, ha afferrato il cellulare e, dopo un breve giro di chiamate, contatta il nostro collaboratore manifestando tutto il proprio disappunto, diciamo, per le notizie pubblicate. Aggiungendo, a quanto pare, una serie di considerazioni sulla «natura» di questo giornale, sulla eziologia di certe notizie e, ca va sans dire, minacciando querele per diffamazione. Strano, eppure Conte dovrebbe essere un avvocato (come lo zio, il cugino, il fratello e qualche nipote): possibile che non sappia che di quello scritto tutto può dire tranne che si tratti di diffamazione? A meno che Conte non consideri diffamatorio rendere noto che si accompagna, lui o qualcuno del gruppo familiare, con Sgroia, il che potrebbe pure essere, la politica dà alla testa in alcuni momenti. Le valutazioni sul giornale, sicuramente legittime per quanto scollegate dalla verità, diciamo che le consideriamo medaglie al valore se e quando provengono da un universo politico-culturale il cui biglietto di presentazione è incarnato da due ridicoli striscioni «militanti» appesi alle mura municipali (Regeni e «Palestina»), i quali fanno passare in secondo piano addirittura le inefficienze amministrative, esse sì, in parte, giustificate da ragioni altre, che pure abbondano. In verità, non andrebbero incoraggiate tali incursioni nella vita politica, giornalistica o nel dibattito generale da parte di «fratelli di», «cugini di» eccetera: vero è che il gruppo attuale di potere esecutivo è rappresentato da parentele strette e meno strette e comunque tutte parentele, e dato che non abbiamo a che fare con i Kennedy in un contesto anglosassone, andrebbe ricordato che già in passato un altro «fratello» Conte fu causa di problemi e imbarazzi assai gravi avendo rimediato una condanna definitiva per violazione dell’articolo 416 bis c.p. Ovvio che siamo qui in un’altra dimensione e che il rimando possa apparire sproporzionato, ma la simbologia e la lezione del passato, specie quanto il presente se ne ciba, non vanno cancellate: anche perché non sai mai se la farsa preceda la tragedia oppure il contrario. (pierre)
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