
In un Paese dove la fragilità è spesso occultata sotto il tappeto delle buone intenzioni, quando una rete di sostegno si rompe, chi resta a prendersi cura di chi ha bisogno? Un convegno dal titolo “Neurodiversità: le opportunità oltre il limite”, promosso dal Rotary Club Eboli, ha scelto di mettere la neurodiversità al centro di un discorso pubblico, l’8 giugno all’Auditorium San Bartolomeo di Eboli. L’incontro, moderato dal dott. Vincenzo Panico e dalla dott.ssa Lucia Palmieri, ha raccolto medici, giuristi, educatori, psicologi e genitori, nella geografia immobile della disattenzione italiana. È lì che si è tracciata una linea: la soglia che separa l’indifferenza dall’ascolto. Non è stato solo un incontro scientifico, ma un tentativo di ricucire quella rete che spesso si lacera tra diagnosi e diritti, tra infanzia e istituzioni, tra genitori e solitudine. L’incontro ha messo al centro chi, troppo spesso, resta ai margini: i bambini e i ragazzi neurodivergenti, soprattutto quando, per ragioni diverse, manca il sostegno familiare. Ma ha fatto di più: ha proposto una visione che unisce psichiatria infantile, diritto, educazione sensoriale e lavoro. Perché non basta più “includere, occorre proporre soluzioni. La dottoressa Loredana Pellegrino, neuropsichiatra infantile dell’ASL Salerno, ha portato lo sguardo sulla primissima infanzia, quando ancora le parole non sono venute, ma i gesti e gli occhi parlano. I segni precoci dello spettro autistico – la difficoltà a mantenere il contatto visivo, la scarsità di gesti intenzionali, l’assenza di sintonizzazione emotiva – non devono essere ignorati o fraintesi. Pellegrino ci ha ricordato che la diagnosi precoce non è un’etichetta, ma una porta che si apre sulla possibilità di attivare percorsi di relazione, crescita, comprensione. Prevenire il ritardo significa permettere al bambino e alla sua famiglia di non sentirsi prigionieri di un destino già scritto, ma attori di un percorso possibile. L’avvocata Rosanna Bello, della Camera dei Minori di Salerno, ha restituito alla platea la cruda realtà delle famiglie che, nel momento in cui il figlio neurodivergente compie 18 anni, si trovano improvvisamente senza tutela. La legge, pensata per altri contesti, spesso non contempla le specificità dell’alto funzionamento. E così, il passaggio alla maggiore età diventa un baratro giuridico: amministrazione di sostegno, diritti esigibili, autodeterminazione restano sospesi, senza un’adeguata cornice normativa. “Occorre una riforma che riconosca la complessità, non solo la patologia”, ha sottolineato Bello, accendendo un faro sul diritto alla piena cittadinanza. L’amministratore di sostegno, introdotto con la legge n. 6 del 2004, è una figura giuridica che ha il compito di affiancare le persone che, per effetto di infermità o menomazione, si trovino nell’impossibilità – anche parziale o temporanea – di provvedere ai propri interessi. È un istituto flessibile, pensato per garantire protezione giuridica senza annullare la capacità d’agire, adattabile al singolo caso e volto a tutelare la persona, salvaguardandone l’autonomia residua. Tuttavia, come sottolineato durante il convegno, la sua applicazione in ambito neurodivergente richiede una maggiore consapevolezza e aggiornamento normativo, affinché i diritti di autodeterminazione non siano compressi sotto la logica della pura tutela. La psicologa Rossella Vecchio, ha condotto il pubblico dentro il mondo sensoriale dei bambini neurodivergenti. Ha parlato di mindfulness, di gioco corporeo, di stimming toys – strumenti non banali, ma piccoli alleati per aiutare il bambino a gestire il sovraccarico sensoriale. “Lo stimming”, ha detto, “non va represso perché è una risposta, una richiesta, un linguaggio”. È l’inizio di una pedagogia della cura che parte dal corpo, e restituisce al bambino il diritto di essere ascoltato anche quando non parla. Ma è stato l’intervento di Luciana Mandarino, educatrice, imprenditrice sociale e anima dello studio MAD, a portare nel convegno la densità della realtà trasformata. Il suo progetto – attivo a Casal di Principe – forma adolescenti e giovani neurodivergenti all’interno di laboratori agroalimentari. Si parte dal pane, si arriva al lavoro. Ma nel mezzo ci sono dignità, crescita, comunità. “Non li chiamo disabili. Li chiamo ragazzi con diverse abilità. E molti di loro, oggi, lavorano. Prendono uno stipendio. E lo fanno con professionalità e attitudine”, ha detto Mandarino, senza enfasi. Le sue brigate – di cucina, fotografia, agricoltura – sono un laboratorio di autonomia, un antidoto alla retorica vuota dell’inclusione. Il racconto si è fatto ancora più vibrante quando, nel corso del pomeriggio, è stato proiettato il cortometraggio Pixar Float, piccolo gioiello d’animazione che narra la storia di un padre e di un figlio “diverso”. Il bambino vola, letteralmente. Il padre, per proteggerlo dal giudizio sociale, cerca di trattenerlo, di appesantirlo con le pietre, di nasconderlo, di normalizzarlo. Ma il punto di svolta è un gesto d’amore: il padre si lascia andare, e lo accompagna attraverso una semplice altalena nel volo. Nessuna parola, solo immagini. Ma quelle immagini hanno saputo dire tutto: che la diversità non è da correggere, ma da accogliere. Che la cura non è costringere, ma restare. Che la libertà, spesso, si gioca nella capacità di lasciar volare chi amiamo.
Patrizia Tortoriello