di Michele Capone
Il giovedì santo con chiese chiuse, compresa la Cattedrale, è solo l’ultima negativa conseguenza dell’istituzione della Unità Pastorale del Centro Storico. Centralizzare in una sola sede spirituale, con la previsione di un solo parroco pare che si privilegi una funzione “manageriale” rispetto alla missione pastorale, di apostolato. Prima ogni chiesa aveva un parroco, un pastore disponibile, visibile, da salutare per strada, con il quale scambiare due parole, in buona sostanza era uno degli elementi che faceva del Centro Storico un luogo vivibile. Attraversata Porta Nova, si entrava in un ambiente più umano, dove il parroco era veramente un riferimento, sia per chi, credente, frequentava, sia per chi, invece, non era assiduo fedele, ma che riconosceva nel parroco un riferimento morale. Non c’erano orari. La chiesa era aperta per gran parte della giornata, e nei giorni di festa, era veramente una festa. Chiunque abbia partecipato alle messe di Natale o ai riti di Pasqua, sa bene che in Chiesa si ritrovava la comunità. Dai palazzi circostanti si scendeva sul sagrato, soprattutto la notte di Pasqua. ll suggestivo rito del buio e della luce, faceva sentire tutti più vicini. La Chiesa era comunità, era vicina. Il Crocifisso, Sant’Agostino, Santa Lucia come le altre chiese del centro storico, diventavano la concreta manifestazione del senso di una comunità che si ritrova. Avrà sicuramente una logica l’istituzione dell’unità pastorale del centro storico, ma questo, è composto da piccole comunità, piccole e orgogliose delle loro chiese, e vederle chiuse proprio a Pasqua non è stato bello.