Di Olga Chieffi
Festa della Donna oggi, si suona, si parla, si analizza, si concerterà per l’intera giornata, a cominciare dalle 11, al massimo cittadino, dove a farla da padrone saranno Eliza Doolittle, Mimì, Isabella, e ancora Adina, Clara e Violetta, prima di spostarci su nella sala concerti del Conservatorio “G.Martucci” , per il convegno “Donne in Musica” dove incontreremo Irma Ravinale, Emilia Gubitosi, Jeanne Hersch, tutte le donne di Puccini, e ancora Arianna, e le eroine invitte del nostro Ottocento, da Norma a Elettra, sino a Carmen, il Calicanto e la sua direttrice Eleonora Laurito, per poi chiudere la serata con Espedito de Marino & friends con un concerto dal titolo Donna Canzone. Se Giacomo Puccini imperversa dappertutto con le sue donne fuori e sul palcoscenico, per il suo anno centenario, oggi non possiamo non pensare ad una figura centrale della musica del secolo breve che ha inteso titolare la sua biografia “Music is my Mistress”, Edward Kennedy “Duke” Ellington, nel cinquantesimo della sua scomparsa.
Calandoci in Ellingtonia, i cui confini sono schizzati dall’inconfondibile Ellington effect, pare che tutta la musica del Duca sia percorsa da una sorta di brivido per la femminilità e il mistero della donna. Il titolo della autobiografia porta il segno di questa aura: “Music is my Mistress” , un corposo volume, nelle cui prime pagine sono riportati dei versi di un poemetto intitolato Music: «La musica è una bellissima donna/Nel fiore degli anni», dove la celebre Sophisticated Lady del 1933 si congiunge sentimentalmente con la ballata Warm Valley del 1940. Ellington raccontava che era stato ispirato dalle montagne settentrionali della vallata dell’Oregon che «avevano i contorni più affascinanti, e mi apparivano come tante donne distese». Insomma, ladies inquietanti, o femme fatale come la ballerina del Cotton Club di Black Beauty o la misteriosa regina della notte di Night Creature del 1955, oppure brave ragazze di campagna affioranti tra le sue 1200 composizioni. Nessun musicista del Novecento ha saputo come Edward Kennedy «Duke» Ellington entrare nell’universo femminile. E tutto con il tocco elegante che gli venne riconosciuto quando da bambino giocava per strada. Non fu chiamato «Duke» per i meriti musicali: il nomignolo gli fu affibbiato da un vicino di casa che lo vedeva giocare nei cortili. Questo contatto con le cose semplici e essenziali Ellington lo mantenne sempre: «Trae ispirazione da tutto e da tutti», diceva di lui Strayhorn e, a proposito del celebrato “effetto Ellington”, aggiungeva che “si tratta di un effetto che toccherà musicisti e ascoltatori finché Ellington sarà vivo. E anche dopo…”. L’effetto era già nella sua apparizione sul palcoscenico, nel vestire e gestire. Quando venne in Italia nel 1950, moltissimi ammiratori lo accolsero alla stazione di Milano. Uno dei ragazzi lo vide scendere dal treno “con un cappotto di cachemere color panna stretto alla vita da una cintura, cappello sull’azzurro, sciarpa di cachemire blu. Una vera apparizione”. Appena mise piede sul predellino l’orchestra di Gorni Kramer, che si era tenuta nascosta, attaccò con un brano che proprio quest’anno compie ottanta anni, Solitude. I versi di Irving Mills sono dedicati a una donna: “Nella mia solitudine, tu entri dentro di me con sogni di giorni perduti, con memorie che non muoiono”. Come noto, Ellington ha espresso nella sua musica una particolare qualità narrativa, generata soprattutto nelle sue opere a largo respiro. Nella vasta discografia che Ellington ci ha lasciato come sua eredità musicale, A Drum Is A Woman può essere considerata una delle più insolite, quanto una delle meno frequentate. A differenza di altre opere estese di Ellington, che sono principalmente se non del tutto strumentali, A Drum Is a Woman si sviluppa attraverso canzoni e una narrazione con solo occasionali passaggi orchestrali completi. L’idea di Ellington era quella di presentare la musica come una storia del jazz, un’idea che aveva inizialmente discusso con Orson Welles nel 1941. La musica risultante è una collaborazione completa e congiunta tra Ellington e Billy Strayhorn con testi e musica che contribuiscono, tracciando la storia della musica dalla giungla africana all’America raccontata attraverso il personaggio di Madam Zajj. I fatti vengono raccontati in una storia che sviluppa un fascino tutto suo. La musica però è inconfondibilmente del magico duo Ellington-Strayhorn e ovviamente dei solisti che avevano a loro disposizione: tra i protagonisti il baritono di Harry Carney in What Else can You Do With A Drum. La band e Clark Terry sono superbamente swinganti ed espressivi in Hey, Buddy Bolden e Johnny Hodges è sensuale come sempre. La big band ellingtoniana si esprime poi a pieno ritmo in Ballet of the Flying Saucers, di nuovo con Johnny Hodges e Sam Woodyard alla batteria sugli scudi, mentre Rhumbop (un riferimento all’influenza afro-cubana) è un altro meraviglioso arrangiamento per big band in cui è presente la voce di Joya Sherrill. Infine, non può mancare una canzone d’amore come You Better Know It. La Donna resta quindi l’ispiratrice di buona parte delle sue pagine più famose: è la “Black Beauty” dell’orgoglio razziale, l’inattingibile vergine di “The River”, è Circe, Salomè, Sentimental Lady, Lady Mac, Night Creature e sopra tutte, Sophisticated Lady. Il Duca ha saputo sapientemente schizzare l’universo femminile anche attraverso i titoli dei suoi pezzi, come? E’ lui stesso a svelarcelo: proprio in “Music is my Mistress”: “Prima si suona il tema, poi ci si guarda attorno per sapere il nome della ragazza che sta in piedi dalla parte delle note basse del pianoforte. Lì c’è sempre una ragazza”.