Si conclude con due assoluzioni e quattro condanne il processo “Domino” davanti ai giudici di Torre Annunziata, presidente Riccardo Sena. Otto anni di reclusione per lo scafatese Vincenzo Starita, alias ‘a strega, ritenuto fornitore della droga per il clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia. Per lui, difeso da Massimo Autieri e Teresa Sorrentino, la Procura (pm Cimmarotta) aveva chiesto nove anni di reclusione. Quattro anni e 8 mesi per Michele Di Maria a fronte di una richiesta di sei anni e mezzo. Quattro anni e mezzo per Luigi Staiano, di Castellammare di Stabia, per lui era stata avanzata richiesta di pena di 6 anni. Sei anni e 4 mesi per Silverio Onorato per il quale erano stati chiesti 16 anni. Assolti invece Ernesto Di Maio per il quale era stata chiesta una condanna a 8 anni di reclusione e Tommaso Naclerio di Gragnano, per lui chiesti 7 anni. Secondo la Procura (tesi che in parte non ha trovato terreno fertile con i giudici) gli imputati erano accusati di traffico di sostanze stupefacenti, detenzione illecita e cessione di sostanza stupefacente. L’attività investigativa, partita nel 2017, aveva permesso di ricostruire l’intera organizzazione dedita alla vendita di marijuana e cocaina. La prima veniva coltivata sui monti Lattari o, in alcuni casi, importata da altre regioni (specialmente la Calabria). Per la vendita di cocaina invece sarebbe stato messo su un patto con la ‘ndrangheta. Secondo gli inquirenti, nel periodo compreso tra il 2017 e il 2018 il clan D’Alessandro aveva assunto il monopolio del mercato degli stupefacenti in tutta l’area stabiese, toccando anche alcuni comuni della penisola sorrentina, come Vico Equense e la stessa Sorrento. Sempre per la Dda napoletana grazie all’alleanza strategica con gli Afeltra – Di Martino, tale sistema era stato esteso anche sull’area dei monti Lattari. Il meccanismo sarebbe stato creato ad hoc e prevedeva una piattaforma unica per la distribuzione della marijuana sulle diverse piazze di spaccio, sotto la regia di un direttorio composto da elementi di massimo vertice del clan D’Alessandro, che fissava il prezzo minimo di vendita dello stupefacente, in modo da ricavarne una quota fissa da destinare al mantenimento degli affiliati detenuti ed alle rispettive famiglie.
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