di Mario Rinaldi
Don Alfonso Raimo è nato a Calabritto (AV) il 02 luglio 1959, ordinato sacerdote e incardinato nell’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno il 18 marzo 1990, sia negli anni della sua formazione, sia successivamente negli anni del suo ministero sacerdotale, ha coniugato insieme – nella sua vocazione sacerdotale – la dimensione diocesana con l’attenzione alla realtà della missione universale della Chiesa. Specializzatosi negli studi di Teologia della Missione, pur svolgendo l’incarico di Parroco (prima a Lancusi, poi ad Eboli: dal settembre 2015 è Parroco nella parrocchia di San Bartolomeo Apostolo), ha per molti anni collaborato, ricoprendo diversi ruoli (dal 2001 al 2015), con la Fondazione Missio, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana nato per sostenere e promuovere la dimensione missionaria della comunità ecclesiale italiana, favorendo iniziative di animazione, formazione e cooperazione tra le Chiese. Attualmente è anche Professore di Teologia della Missione presso l’Istituto Teologico Salernitano e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Salerno. Don Alfonso quali sono le prime sensazioni dopo la nomina a Vescovo ausiliare? “Il vescovo ausiliare è un vicario generale ordinato. Io sino ad ora sono stato un vicario generale disordinato (scherza). È un aiuto di pari dignità episcopale”. Nella nomina è indicata anche quella di Vescovo di un’altra diocesi. “Nella nomina è indicato che sono anche vescovo titolare di una diocesi estinta della Sicilia, precisamente di Termini Imerese alle porte di Palermo, una cittadina che visiterò e dove celebrerò una messa facendo poi visita alla diocesi di Palermo. Ha saputo subito la notizia della nomina? “Sono stato l’ultimo a saperlo della decisione del Papa, negli ultimi giorni ho appreso la notizia”. Come vive questo nuovo incarico? “Lo vivrò con l’impegno e la passione con cui ho vissuto tutta la mia vita sacerdotale. Metto lo stesso impegno con maggiore responsabilità. Siamo chiamati a rendere servizio alla Chiesa locale sapendo che per noi c’è un legame vitale tra Chiesa locale e Chiesa Universale. È la prima volta che dovrò lasciare la cura pastorale di un lembo della diocesi ma questo non significa che cambia il rapporto con le persone, coi sacerdoti della diocesi. Sento maggiore responsabilità, maggiore cura nell’impegno per la comunicazione e ricerca della comunione coi sacerdoti”. Continuerà il suo impegno come professore di Teologia della Missione presso l’Istituto Teologico Salernitano e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Salerno? “Certo che continuerò l’impegno nella scuola. Un impegno che condivido col nostro arcivescovo”. Come valuta tutto quello che sta accadendo a livello mondiale, con diversi conflitti in atto? “Ci vorrebbe maggiore sensibilità e dialogo. Il dialogo è l’unica via percorribile oggi. Il dialogo comporta anche il coraggio di incontrare la diversità e di riconoscerne la ricchezza. È un tempo in cui è facile generare conflitti e suscitare contese e fare soprattutto della religione motivo di scontro per cui continuerò ad avere ottimi rapporti con la comunità musulmana e le confessioni cristiane perseguendo obbiettivi comuni. Organizzeremo incontri ed eventi programmati finalizzati alla conoscenza. C’è necessità di far crollare il clima di sospetto che in questo tempo genera conflitti non solo all’ estero ma anche in Italia”. Lei proviene da Eboli, Piana del Sele, un territorio complicato. Può dirci che ne pensa? “Campolongo è tutta la piana del Sele è un territorio complesso, toccato dal fenomeno dell’immigrazione più degli altri. La popolazione di immigrati in questi anni è cresciuta sensibilmente, oserei dire che l’economia di queste zone dipende da queste presenze ma c’è anche tanto sfruttamento e degrado proprio perché la loro presenza è vista in termini di manovalanza dimenticando la dignità di chi arriva. Quelle zone risentono di questa situazione, con chiusure, incomprensioni, condizionando la vita, generando fenomeni di delinquenza. Per tanti anni sono stato cappellaio al carcere di Eboli nel quale ho imparato a conoscere una porzione di umanità che non avrei conosciuto se non nel carcere. Scoprire la dignità che c’è dentro un detenuto è un fatto fondamentale. Ci sono tante storie familiari, vicende di sofferenza e questo ti impedisce di giudicare facilmente le persone. Non li ho mai giudicati però mi sono chiesto: “se invece di essere nato a Calabritto o vissuto ad Eboli fossi nato a Forcella o Secondigliano, sarei diventato prete o sarei detenuto come loro?” Dietro le pieghe di crimini o misfatti c’è sempre una storia di sofferenza. Bisogna avere il coraggio se ti fanno entrare, nelle loro storie di sofferenza”. Le comunità dove don Alfonso Raimo è stato sacerdote sono in grande festa.