di Giovanna Naddeo
Approfondire le relazioni tra sfera ordinamentale e sfera interculturale-religiosa nel contesto politico, culturale e sociale italiano ed internazionale. Tra le novità per il nuovo anno accademico Unisa, l’insegnamento del “Diritto interculturale e delle religioni” presso il Dipartimento di Scienze Politiche e della Comunicazione. In cattedra, il professore Gianfranco Macrì.
Come nasce l’idea di questo nuovo insegnamento?
«Il corso di studi in “Scienze politiche e delle relazioni internazionali”, all’interno del Dipartimento di Scienze Politiche e della Comunicazione, ha inteso avviare una serie di novità legate all’approfondimento della dimensione interculturale e del contesto multireligioso. Sulla scia del successo di insegnamenti analoghi, quest’anno abbiamo deciso di introdurre “Diritto interculturale e delle religioni” con l’obiettivo di affrontare tutte quelle tematiche che avranno sempre maggior peso nello spazio del Mediteranno. È giusto che gli studenti siano consapevoli del fattore religioso, in un’ottica confessionale e culturale, e della malleabilità del diritto al fine di rispondere a questioni quotidiane legate ai rapporti tra religione e spazio politico».
Donald Trump “snobba” il summit Onu sul clima per discutere di libertà religiosa. Cosa potrà dire al mondo il presidente Usa su questo tema?
«La concezione statunitense della libertà religiosa, tra spinte politiche e giurisprudenza della Corte Suprema, è sempre foriera di segnali significativi. Per non parlare del ruolo decisivo della componente confessionale e religiosa in tutte le dinamiche politiche Usa, a maggior ragione in prossimità della competizione elettorale. Trump ha consapevolmente deciso di toccare questo tema con l’avvicinarsi della nuova corsa alla Casa Bianca, posponendo altre questioni percepite dalla pubblica opinione come più urgenti o importanti. Il nuovo insegnamento Unisa terrà gli occhi ben aperti sulla questione».
Rientrando a casa, a che punto è il rapporto tra islam e Repubblica italiana?
«Siamo a un punto morto, da anni ormai. Lo Stato continua ad adottare un approccio prettamente securitario, trascurando la questione delle libertà. A mio avviso, i nuovi Governi dovrebbero impegnarsi sul fronte delle libertà e dei diritti sociali, in particolar modo quelli negati, anziché affrontare singole questioni, come “il” luogo di culto o “la” scuola. Solo in questo modo potremo capire quanto questa realtà musulmana, variegata e complessa, sia predisposta al negoziato. Spetta alla politica fare un sussulto di dignità e capire quanto occorrerà dialogare anziché porsi in maniera preconcetta su singole questioni, anche complesse».
Oggi la Corte Costituzionale tornerà a esaminare gli atti trasmessi dalla Corte d’assise di Milano, nell’ambito del processo sul suicidio assistito di Dj Fabo. Come riprenderà la questione, dopo un anno di inerzia del legislatore?
«Premetto che non credo nelle virtù taumaturgiche delle Corti, per quanto in alcuni momenti storici siano state decisive per la tutela di singoli gruppi. Ritengo che la politica debba recuperare la sua centralità e il diritto la sua funzione servente. Se c’è una buona politica, ci saranno buone leggi. Se c’è una pessima politica, le leggi saranno speculari. La Consulta dirà che nel codice penale ci sono norme incostituzionali, alla luce delle esigenze maturate nella società odierna. Vorrei sottolineare un elemento importante nella questione del fine vita: la Chiesa Cattolica non solo prende posizioni (legittimamente), ma pretende di condizionare le scelte politiche. Anche qui si manifesta tutta la debolezza di una classe politica che si fa dettare l’agenda da soggetti esterni, incapace di decidere autonomamente».