di Gian Ettore Gassani
C’è una via a Roma nei pressi del Vaticano, dove vivo e lavoro da due decenni, a pochi metri da casa mia, che è dedicata alle medaglie d’oro dell’Italia. E’ dunque una strada che onora anche mio padre Dino Gassani e il suo fido segretario Pino Grimaldi. Ogni 27 marzo (ricorrenza della morte di mio padre) mi fermo davanti alla lapide delle medaglie d’oro e mi inchino davanti al sacrificio di quanti hanno onorato l’Italia con il proprio estremo sacrificio per essersi opposti alle mafie e al terrorismo. Lo ammetto. Gli inizi di ogni primavera mi angosciano, come mi angoscia il garrire delle rondini. Quando mio padre morì aveva soltanto cinquantuno anni mentre io e mio fratello Luigi eravamo soltanto due studenti del liceo classico. Se ci penso, mi rendo conto di aver speso gran parte della mia vita a ricordare mio padre o a farmelo raccontare dai suoi amici. Mi sembra tutto così surreale. Si perchè persi mio padre nel momento più delicato e incosciente della mia vita, quello in cui non si è né carne né pesce, dovendo rinunciare alla sua guida nella vita e nella professione. Più che figli d’arte, io e mio fratello Luigi, siamo stati orfani d’arte. Ci siamo dovuti inventare una vita tra i ricordi, con la beffa di avere un cognome da difendere, ma senza un padre. La morte di papà e di Pino Grimaldi è stata una tragedia insopportabile per l’intera comunità e per tutto il mondo forense. Perchè è stata una morte assolutamente consapevole. Lo dicono le carte processuali, lo ha scritto la Cassazione, lo ha confermato il Ministero dell’Interno, lo ha certificato la Presidenza della Repubblica. Papà era stato minacciato dalla malavita in tutti i modi. La camorra gli aveva intimato di far ritrattare le dichiarazioni di un suo cliente attraverso le quali era stato sgominato quasi l’intero clan della NCO. Papà si rifiutò di eseguire un ordine da una banda di criminali, non si piegò alle minacce, e decise di accettare ogni rischio. Alcuni suoi amici sapevano tutto. Ecco perchè quella maledetta sera del 27 marzo 1981 la polizia trovò accanto al cadavere di mio padre un foglietto scritto di suo pugno su cui papà scrisse il suo testamento morale: “non posso perdere ogni dignità!”. Del processo contro gli assassini di papà si è saputo tutto. E’ stato uno dei pochi delitti di malavita di cui si è scoperto subito il movente, il mandante e gli esecutori materiali. Per gli assassini fu comminato l’ergastolo e buttata la chiave. Giustizia fu fatta, l’onore fu salvo, ma fu una magra consolazione per la mia famiglia. A noi però è toccato l’ergastolo del dolore, anche se addolcito dall’orgogio. Forse non tutti a Salerno sanno come andarono le cose e perchè. E non tutti hanno avuto a cuore di mantenere viva la memoria della nostra città. Eppure papà ha onorato tutta la comunità e l’Italia intera, come pochi. Ci ha pensato lo Stato a renderci tutti gli onori, e questo è molto importante. Per tutti gli avvocati papà resta un esempio, e non solo a Salerno, ci tengo a sottolinearlo. Ecco perchè il Presidente della Repubblica fece recapitare a mia madre la medaglia d’oro in onore di Dino Gassani. Nel 1989 gli fu dedicata l’aula del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Salerno. Nel 2023 gli è stata dedicata una torre della nuova cittadella giudiziaria per iniziativa dei Giudici della Corte di Appello (fatto molto significativo) e una lapide meravigliosa commissionata dall’attuale Presidente degli Avvocati di Salerno, l’amico Gaetano Paolino. A Roma, quattro anni orsono, alla presenza del Presidente Mattarella e dei giudici della Cassazione fu ricordato mio padre dal grande Giovanni Aricò davanti a tutto il Foro romano. A Milano, dove ho la sede principale del mio studio Legale, si sta progettando di ricordare mio padre con una importante manifestazione. Insomma il tempo ha voluto che mio padre non fosse più l’eroe di una città di provincia del sud, ma un simbolo eroico dell’Avvocatura nazionale. Di mio padre ho ricordi di un adolescente. Ma sono indelebili. Ricordo il suo rigore, la eloquenza inebriante, la sua eleganza, i suoi cappelli borsalino, il senso sacro della famiglia, il rispetto per le tradizioni, l’amore sconfinato per la sua toga. Era un padre dolcissimo e autorevole. Era uno studioso, un uomo di cultura generale spaventosa. Ricordo che traduceva il greco dal latino e viceversa. Aveva il culto per la famiglia. Infatti il nonno paterno, Ettore, dopo la morte della nonna Teresa, venne a vivere da noi. E per me e mio fratello fu il regalo più grande perchè il nonno fu molto importante per noi soprattutto dopo la morte di papà. Papà amava Salerno, ma sognava il grande salto a Roma. Voleva misurarsi con realtà diverse e mettersi alla prova. Ho ancora un filmino in cui papà espresse il desiderio di aprire uno studio nella Capitale. Purtroppo non ebbe il tempo di coronare questo sogno ambizioso. Tuttavia sono sicuro che un Avvocato del suo livello avrebbe giganteggiato anche in una metropoli dove la concorrenza è assai più agguerrita che in provincia, ma la visibilità di un Principe del Foro è enorme. In città papà era molto amato, anche dagli avversari politici, perchè in lui tutti riconoscevano l’animo di un Uomo leale. Papà decise di seguire la sua anima lasciando molto presto la vita politica per dedicarsi alla professione. Il suo essere meravigliosamente Avvocato è ciò che mi importa davvero, e sono sicuro che la sua toga metta tutti d’accordo Papà aveva un grande amico, Enzo Todaro. Con lui, giornalista di razza, nacque un’amicizia fraterna. Enzo Todaro, per me e mio fratello, è un padre adottivo, è colui che non ha mai fatto spegnere il ricordo di Dino Gassani. Forse lui sa cose di papà che io non so, anche in ordine agli ultimi terribili mesi della sua vita. So solo che papà, pochi giorni prima di essere ucciso, gli consegnò una sua foto dicendogli. ” Enzo ti lascio questa foto in mio ricordo” Stimava molti suoi Colleghi. Salerno è stata la culla di grandi penalisti. Ricordo il suo legame particolare con Pasquale Franco ( il mio maestro meraviglioso a cui devo tanto) e poi l’amicizia e la stima con i grandi del passato come Pasquale Pastore, Diego Cacciatore, Peppino Tedesco, Paolo Carbone, Dario Incutti, Mario Parrilli e tanti altri. Un altro Avvocato che ha combattuto con tutte le sue forze per onorare la memoria di papà è stato Americo Montera, un gassaniano di ferro, sempre affettuoso con la mia famiglia. Sullo sfondo c’è il ricordo di mio zio Silvano, magistrato a Napoli, che dopo la morte di papà si lasciò morire dopo appena tre anni. E soprattutto mia madre Luisa che è stata un esempio di dignità anche nel dolore e mio fratello Luigi per il suo coraggio nello scoprire i cadaveri di nostro padre e del povero Pino, preoccupandosi di come darci la tremenda notizia. Sono trascorsi quarantatre anni da quel maledetto venerdì del 27 marzo 1981. Eppure mi sembra che il tempo sia volato. Ricordo l’ultima volta che vidi papà. Era di spalle mentre a passo svelto camminava nel lungo corridoio di casa nostra, dopo avermi salutato. Questa scena mi tormenta. Dopo un’ora da quell’istante la mia vita e quella della mia famiglia cambiò per sempre. Da quel momento dovetti decidere cosa fare della mia esistenza, se lasciarmi andare o prendere a morsi la vita. Ora io vivo in due metropoli, Roma e Milano. Conduco una vita frenetica. Ma la mia città resta nel mio cuore, le radici non si cancellano, ma oggi la vivo come un turista e me la godo senza l’ansia di dover andare in studio o in tribunale. Qualche tempo fa feci un sogno che mi svegliò di soprassalto. Nel sogno vidi papà, ormai anziano, che camminava con fatica e senza meta per le strade di Roma. Ad un certo punto, arrivato nei pressi del Vaticano si fermò di scatto, sorpreso nel leggere la mia targa sotto il mio palazzo: “Studio legale Gassani”; dopo essersi fermato con una mano accarezzò quel pezzo di ottone e sorridendo e si specchiò in esso. Forse quel sogno voleva dirmi qualcosa che papà non ha potuto dirmi. O forse quel sogno è ciò che avrei voluto dimostrare a lui per renderlo felice. Non lo so. Quella notte il mio cuore andò in subbuglio e iniziai a piangere come non avevo fatto mai, dicendo dentro di me: “papà sei tutto per me, lo so che ci sei” .