di Clemente Ultimo
La decisione delle associazioni venatorie di ricorrere al giudice amministrativo per impugnare il calendario venatorio licenziato dalla Regione Campania non arresta le polemiche, anzi nuove critiche si addensano su alcune scelte dell’amministrazione De Luca e, prima ancora, sul metodo utilizzato per la definizione dello strumento destinato a regolamentare la prossima stagione venatoria. A sottolineare questi aspetti, con un occhio attento anche all’aspetto economico della questione, è Andrea Di Mauro, responsabile nazionale del settore Ambiente e Ruralità dell’associazione Primavera Meridionale. «Uno degli aspetti più incredibili di questa vicenda è il vero e proprio ribaltamento di metodo cui abbiamo assistito nel giro di un mese o poco più. Mi spiego: la legge prevede che ogni anno la redazione del calendario venatorio (che regola l’apertura e la chiusura della stagione e ne disciplina lo svolgimento, nda) avvenga a seguito di discussione in seno al Comitato tecnico faunistico-venatorio. Un organismo al cui interno siedono accanto ai rappresentanti istituzionali, quelli delle associazioni venatorie ed ambientaliste. Bene, in occasione dell’ultima riunione del Comitato, il 6 giugno, è stata licenziata una bozza di calendario venatorio frutto del confronto di tutte le parti, una bozza sostanzialmente definitiva. Una decina di giorni fa, all’improvviso, assistiamo alla pubblicazione di un calendario venatorio profondamente diverso da quello disegnato al termine della riunione del 6 giugno. È evidente che l’assessore Caputo ha di fatto ripudiato il metodo del confronto, perché? Dobbiamo forse pensare che la Regione sia condizionata da un pregiudizio anticaccia?». C’è quindi una questione di metodo, ma anche di merito: il calendario messo a punto dalla Regione Campania presenta a vostro giudizio delle profonde incongruità e contraddizioni. Qualche esempio? «Si potrebbe discutere a lungo della criticità costituita dalle aperture posticipate, una scelta che porta la Campania ad aprire la stagione il 1° ottobre per quasi tutte le specie mentre nel resto d’Italia si apre la terza settimana di settembre, tuttavia c’è un punto in particolare che credo evidenzi con forza l’intento punitivo, non trovo altro aggettivo, nei confronti dei cacciatori con cui è stato messo a punto il nuovo calendario venatorio». Addirittura punitivo? «Sì, perché non c’è altra spiegazione per vietare l’addestramento dei cani nei giorni di “silenzio venatorio”. Al martedì e al venerdì è vietata la caccia, ma che senso ha vietare l’addestramento dei cani, attività che si svolge ovviamente senza far uso del fucile? L’unica ratio che si coglie è quella di ridurre ulteriormente le giornate disponibili, in questo modo infatti si è costretti a sottrarre il tempo da dedicare all’addestramento dei cani a quello da dedicare all’attività venatoria in senso stretto. Questo è un modo per prendere in giro i 40mila cacciatori campani che, bene ricordarlo, versano somme generose nelle casse regionali». A quanto ammonta questo contributo e cosa finanzia? «Facendo un calcolo al ribasso i cacciatori campani versano nelle casse regionali circa quattro milioni di euro l’anno, sommando la tassa regionale ed il contributo Atc; somma che aumenta ancora se si considerano gli spostamenti su altri Atc. Se indichiamo in circa 4,5 milioni di euro il totale siamo probabilmente al cospetto di una cifra stimata per difetto. Queste risorse dovrebbe essere utilizzate per lo specifico settore, anche se su questo specifico punto abbiamo molte riserve, ad iniziare dal capitolo ripopolamento».