di Alberto Cuomo
Come era prevedibile la scorribanda di De Luca a Roma si è risolta in un grande flop ed il governatore campano ha fatto ritorno a casa, dopo qualche starnazzo, con le pive nel sacco, senza aver incontrato né Fitto né Meloni, mancando alla promessa di contarne loro quattro. Si è dovuto così accontentare di chiamare “pinguino” un esponente delle forze dell’ordine che lo salvaguardava dalla possibilità di rompersi la testa nel lanciarsi a mò di ariete contro la porta chiusa del Ministero e della promessa di essere passato per le armi quale martire difensore del sud. Ma quale sud? Non c’era alcun rappresentante autorevole della Puglia, o della Basilicata, i sindaci calabresi erano con la Meloni in Calabria per la firma degli Accordi programmatici riguardanti i fondi per la coesione e del Pnrr, gli stessi che De Luca reclamava sotto il vuoto Palazzo Chigi. Né c’erano con lui tutti i sindaci della Campania e principalmente non c’era il sindaco di Napoli, l’ex rettore della Federico II Gaetano Manfredi. Secondo i quotidiani gli uomini che hanno seguito De Luca a Roma per sentirlo arringare al nulla erano circa 700 tra sindaci, amministratori e curiosi, ma quelli con la fascia tricolore meno di cento, un numero del tutto inferiore a quello dei comuni campani e persino dei 158 comuni della provincia di Salerno. Il fallimento della spedizione, oltretutto, ha ostacolato la più seria opposizione all’autonomia differenziata condotta dal Pd e dai 5Stelle creando inutili confusioni. In più, mentre Schlein e Conte non erano neppure in vista allorchè nel 2001 il governo Amato procedeva all’approvazione della prima riforma del titolo V della Costituzione, dilatando a dismisura le competenze regionali e degli enti locali, De Luca invece, da sindaco, plaudiva a quella riforma voluta dal suo partito. La riforma venne giustificata dalla sinistra per la necessità di frenare le spinte federaliste della Lega combattendola sul suo stesso terreno onde emarginarla. Una motivazione probabilmente falsa e sicuramente errata. Falsa, perché il vero motivo consisteva nel voler spostare i poteri dello stato verso sindaci e presidenti regionali in gran parte di sinistra in modo anche di contrastare la destra forte in parlamento ma non negli enti locali, ed errata perché rafforzando gli enti regionali si rendeva “costituzionale” la Lega, presente in gran parte al Nord che, con Alleanza Nazionale, non faceva parte del cosiddetto arco costituzionale costituito dai partiti che vararono la Costituzione. La riforma costituzionale, perché di questo si trattò, senza che De Luca facesse alcuna caciara, era voluta dal ministro della funzione pubblica Franco Bassanini che già sotto la precedente presidenza Prodi aveva attuato un decentramento amministrativo onde ridurre, a suo dire, il peso della burocrazia che invece fu delegata di ulteriori responsabilità politiche. Il risultato è stato nel peggioramento, invece che nel miglioramento, dei servizi, scuola e sanità, con un appesantimento amministrativo che non ha offerto maggiore qualità alle leggi regionali e nell’aumento della spesa pubblica. De Luca a quel tempo, ed anche negli anni successivi, quando sedeva sugli scranni di Montecitorio, non ha mai protestato, mentre protesta ora che, in definitiva, con l’autonomia differenziata, si formalizza quanto già è in atto. Si pensi alla spesa sanitaria. Già ora le regioni del sud, ovvero le loro Asl, pur offrendo i “livelli essenziali di prestazioni” pagano le spese per indagini ed interventi più complessi dei propri iscritti svolti in ospedali e cliniche convenzionate del nord. Non è quindi questo il vero punto del contendere. Ciò a cui bisognerebbe opporsi è il criterio che vuole le Regioni poter mantenere per sé, mediante le tassazioni locali e altri mezzi, parte del gettito fiscale dei propri cittadini determinando una spaccatura tra aree più ricche ed aree più povere. E non solo, dal momento ciò appare essere in contrasto con l’articolo 53 della Costituzione che vuole una progressività della tassazione sì da poter determinare con tasse più elevate ai più ricchi un possibile aiuto a quelli più poveri. Che De Luca abbia ragione quindi è vero, ma la sua ammuina certo non fa un buon servizio alla causa tappando anzi la bocca a quanti si fanno portatori, con maggior rigore e serietà, della stessa lotta. E per questo potrebbe osservarsi che, incapace di puntare in alto e contrastare Elly Schlein con una propria eventuale candidatura alla segreteria, egli tenda ad alzare la voce per rendersi protagonista nel partito. Di qui anche il suo puntare sulla cultura, scrivendo libri che nessuno legge o circondandosi di noti intellettuali, Giuseppe D’Antonio, Claudio Gubitosi, Ines Mainieri etc. chiamati, nel giorno che era destinato all’incontro con la presidente del Consiglio ad un forum a Napoli. Tutti in gran parte organizzatori di eventi che beneficiano di congrui finanziamenti regionali senza che siano rese pubbliche le rendicontazioni delle spese. Ma perché tanto movimentismo in De Luca? Il motivo è sempre il medesimo: non scollarsi dalla sedia regionale come mostrano i tempi scelti per la sua missione a Roma, il venerdi e il sabato prima del voto in parlamento sul terzo mandato, quasi a voler minacciare che, in caso di responso negativo agiterà la piazza. Riuscirà il nostro eroe a sgominare i nemici interni ed esterni? Si spera di no!.