Dario Vergassola: “Che gioia tornare al Premio Charlot” - Le Cronache
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Dario Vergassola: “Che gioia tornare al Premio Charlot”

Dario Vergassola: “Che gioia tornare al Premio Charlot”

di Luca Ferrini

Quando incontri Dario Vergassola (che questa sera, alle ore 21,30 sarà, all’Arena del Mare, tra i proatagonisti della XXXIV edizione del Premio Charlot) capisci da subito che le sue battute satiriche non sono artefatte, non sono pensate solo per far ridere e divertire chi va in teatro a vederlo. Capisci che lui la satira l’ha dentro, che è parte di lui mettere in risalto con ironia pacata costumi o atteggiamenti comuni alla generalità degli uomini, o tipici di una categoria o di un solo individuo. Comico, cabarettista, cantautore, umorista, scrittore e attore, non sarebbe meglio fare una cosa soltanto e bene? “Questa è una mia bella battuta, manca sex symbol e forse anche cialtrone, come direbbe mia moglie. Quando di solito vado in giro per presentazioni e spettacoli, lei mi risponde sempre: finchè non se ne accorgono te vai, non ha neanche lei una grande stima di me”. Lei torna al Premio Charlot dopo averla vinta nel 1991? “Era una delle prime edizioni. Siamo arrivati a Salerno da tutt’Italia, eravamo una decina di comici sconosciuti, selezionati da quel segugio di Tortora, uomo dal grande fiuto per i comici, che ne ha battezzati parecchi. Sono felice di ritornare allo Charlot, e come prima cosa lo dirò a Moni Ovadia che io ci sono stato per prima, nonostante lui sia più vecchio di me, ma soprattutto che torno con questi gradi sulla giacca di uno che ci è già stato prima. Però è bello tornare, ricordo quando ci sono stato nel 1991, eravamo come nei libri di Benni, comici ma spaventati guerrieri. Era un anno dove il cabaret stava prendendo campo in tutt’Italia, c’erano dei festival che iniziavano a crescere come lo Charlot. Io avevo già 30 anni però era un momento di inizio per me. Quindi ritornare in posto dove ci sono già stato, essere richiamato vuol dire che non è andata proprio male”. Lei sarà sul palco dello Charlot con Moni Ovadia, che tipo di rapporto lavorativo c’è tra di voi? “Con Moni è un rapporto simile a quello che avevo con Riondino, quando facevamo gli spettacoli insieme. Lui è un vecchio saggio, ed io sono quello che sta lì e chiede delle cose e cerco di farmi dominare da questi che veramente sono dei personaggi che hanno un sacco di cose da dire. In questo spettacolo qui io faccio la parte di quello che lo intervista e ogni tanto cazzeggio anche io, su quello che sono le similitudini tra l’ironia ebraica e il cinismo ligure e proprio da questo dialogo a due si scopre che abbiamo tantissimo in comune”. Quindi possiamo dire che l’avarizia è il fil rouge tra l’ironia ebraica e quella ligure? “Possiamo dire tutto quello che volete sull’avarizia, ma sappiate bene tutti e scrivetelo in rosso, che tutte le volte che sono andato a cena da solo con Moni ho sempre pagato io. Ditelo ai popoli e che rimanda a futura memoria. Però è vero c’è questa cosa che ci lega. Va comunque detto che gli ebrei sono un popolo straordinario con una grande capacità di prendersi in giro e di dirsi delle cose che altri non sono capaci. Io sono terrorizzato da quelli che non hanno lo stesso tipo di umorismo”. Quali sono i pregi e i difetti di Dario Vergassola? “Il principale pregio è non riconoscermi difetti. E il principale difetto è quello di essere un po’ rompiscatole. Sono un po’ noioso. Tutti pensano che i comici sono sempre divertenti, anche fuori dalla scena, invece non è vero. A casa ad esempio sono un tipo depresso, ansioso”. Cosa serve per far ridere Dario Vergassola? “Ci sono dei comici fantastici che mi fanno ridere. Mi piacciono le cose fatte con quel tipo di ironia veloce e con la sintesi. Non mi piacciono i travestimenti, le battute lunghe. Per carità ci sono colleghi bravissimi ma non li gradisco. Mi piace il cabaret vero, quello che racconta delle cose, quello che narra delle cose. Che poi una volta si chiamavano comici adesso è diventato stand up e quindi possiamo dire che la Stand Up sta al comico come il selfie sta all’autoscatto, cambia solo il nome. C’è una battuta molto bella che si dice tra addetti ai lavori che la differenza tra un comico e quello che fa stand up è che quest’ultimo è quello che non fa ridere. Ma perchè abbiamo questa abitudine di prendere tutto dagli americani, però in realtà lo stand up c’era anche prima, solo che prima ripeto si chiamavano comici che salivano sul palco e raccontavano. Ho sempre ammirato comici com Paolo Rossi, David Riondino, ed altri, tutti comici che facevano quello che oggi chiamano stand up”. Ha ancora un sogno nel cassetto da realizzare? “Avere un cassetto tutto mio mi piacerebbe tanto”.