Da qualche parte nell'incompiuto - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Da qualche parte nell’incompiuto

Da qualche parte nell’incompiuto

Serata emozionale in memoria di Cecilia Martella, voluta da Rosita Cammarano, sulle note dello stellare ed inedito trio composto da Daniela Cammarano, Alessandro Deljavan e Valeria Serangeli, evento speciale della V edizione della Rassegna Suoni dal Castello

 

Di OLGA CHIEFFI

Facciamo nostro il titolo di una raccolta di “confessioni” estetico-filosofiche di Vladimir Jankélévitch alla sua allieva d’elezione Béatrice Berlowitz, in cui nel XXI capitolo “Il rumore del silenzio”, si affronta il tema della morte, giocato sul filo del rasoio tra temporalità, atemporalità, sino all’intellegibile, per introdurre l’emozionale serata vissuta nella affollata Chiesa di San Nicola di Bari, in Camerota, dal cornista Marcello Martella e sua moglie Angela Spezialetti, genitori di Cecilia, scomparsa nella tragedia di Rigopiano, ricordata con un concerto voluto dalla clarinettista Rosita Cammarano e ospitata dalla V edizione della Rassegna “Suoni dal Castello”, organizzata dall’ Associazione Culturale Zefiro. Come in uno spartito musicale, solo la capacità di seguire il ritmo dell’esistenza nel suo battito alternante, consente di stringere in uno stesso resistente nodo, rigore e duttilità, responsabilità e intelligenza, profondità e leggerezza per poter affrontare un inestinguibile dolore, quale è quello della perdita di una figlia. Pantaleo Leonfranco Cammarano direttore artistico del Festival, ha inteso affidare ad un duo internazionale, composto dalla sorella violinista Daniela e dal pianista Alessandro Deljavan, con ospite il I clarinetto solista del Carlo Felice di Genova Valeria Serangeli, la serata, impreziosita da un programma particolare.  In apertura di programma, il Franz Schubert di “Der hirt auf dem Felsen”, “Il pastore sulla rupe” un esperimento isolato di Lied con accompagnamento di pianoforte e clarinetto, che Schubert scrisse nel 1828, l’anno della morte, reso nella elaborazione per violino, con interpretazione vivida e tesa dall’inedito trio, percorsa da una passione al calor bianco che ha reso giustizia ad una pagina spesso trattata con classicistica deferenza. Qui, invece, l’incisività della pronuncia e del gesto strumentale, la propensione a dare risalto alla dimensione poetica e narrativa della musica, la vivacità di un fraseggio arioso e mosso sono state messe al servizio di una lettura dal nitido segno esecutivo e di forte carica emozionale. Daniela Cammarano ha, quindi, dedicato alla platea, la Sonata in la minore op. 137 n. 2, D385, di Franz Schubert, condotta, unitamente al pianista con un’intensità e una freschezza lirica che è l’aspetto saliente della lettura, assumendo spesso il libero andamento di una fantasticheria, senza che questo abbia mai compromesso il rigoroso senso della struttura e la coerenza dello svolgimento complessivo. Trio nuovamente in scena per l’esecuzione dei Fünf Stücke di Dmitri Shostakovich, una sorta di viaggio avventuroso, animato da uno spirito di vitalità e determinazione, risoluto nella scelta dei tempi, quanto personale nelle soluzioni timbriche e sonore, tecnicamente ineccepibile, intrapreso in completo affiatamento e in perfetto equilibrio di intenti e meriti, assecondando la voce assoluta della musica e seguendo il suo progressivo prosciugamento volto ad una essenzialità espressiva e di linguaggio. Come ogni esecuzione di Valeria Serangeli, anche questa che ha unito insieme le due pagine di Claude Debussy per clarinetto e pianoforte, Petite Pièce e Première Rhapsodie, sono state un condensato mirabile di intelligenza sensibilità, chiarezza e naturalezza espressiva, in duo con Alessandro Deljavan, la cui smagliante interpretazione ha risuonato della piena consapevolezza della forza folgorante con cui Debussy ripensa e, per così dire, reinventa il pianoforte, la sua scrittura, le sue modalità di espressione. Il duo Serangeli-Deljavan è sembrato voler cogliere e lavorare soprattutto gli elementi costitutivi e strutturali, di portata altrettanto epocale nella loro novità, del linguaggio del genio francese: il timbro stesso, quando assume valenza strutturale, quindi, l’armonia, l’organizzazione sintattica, la dissoluzione del concetto tradizionale di melodia, il ritmo. Finale di programma con le Ballades from Porgy & Bess di George Gershwin, una rielaborazione di “Bess you is my woman” e “It ain’t necessarly so” ad opera di Robert Russel, dove violino e clarinetto si sono intrecciati in quel canto blues dimostrando una grande duttilità timbrica nella ricerca continua di una coesione sonora sempre più omogenea. Applausi e fiori per tutti i protagonisti della splendida serata, condotta da Federica Toriello e finale Klezmer cui strumenti principi sono appunto il clarinetto e il violino, con The Freilach Dance, simbolo di quel sorriso Yiddish che è l’unica cosa che resta dopo che sono finite le lacrime e quando il patire è diventato ormai di casa nel cuore.