di Alberto Cuomo
Il corso Vittorio Emanuele si denominò “corso da re” allorché il sindaco Vincenzo Giordano lo rese coraggiosamente solo pedonale. Coraggiosamente, perché vi furono rimostranze sia da parte degli automobilisti che dei commercianti, i quali temevano che eliminando l’accesso delle auto avrebbero perso i propri clienti. Ma Giordano tirò dritto e non consentì neppure agli abitanti del corso di giungere a casa con l’automobile. Dopo questa scelta Giordano passò ad abbellire la città. Sia il lungomare, con un nuovo disegno che non meriterebbe l’attuale decadimento determinato dall’amministrazione deluchiana, sia corso Vittorio Emanuele che, oltre al rinnovo del fondo, non più in asfalto ma in cubetti di porfido, fu adornato da una alberatura lungo entrambi i lati, oggi quasi totalmente scomparsa a causa dell’incuria. Com’è noto la giunta comunale deliberò lo scorso anno di migliorare l’aspetto del corso fermando tuttavia i lavori programmati ed in parte iniziati in attesa delle cosiddette “luci d’artista”, di fatto luminarie da festa paesana. Ora quei lavori sospesi stanno per essere ripresi ma, dalle prime avvisaglie, sembra che nella fretta di concluderli non si tenga conto del valore profondo della strada centrale della città, profondo per i cittadini ed anche per la storia. Iniziando da piazza Ferrovia, dove è ubicata la stazione, sarebbe opportuno offrire al luogo un maggiore senso urbano che non quello dell’attuale fermata di bus. Inoltre se si considera che le stazioni ferroviarie sono un polo importante delle città e che in Italia seguono in gran parte l’esempio di Roma, il cui volume fu edificato nel 1863 già con il nome di “stazione Termini”, si vuole per la vicinanza con le antiche terme di Diocleziano ma anche perché sorgerebbe su un’area di sepolture – da finis o terminus vitae – potrebbe ritenersi che, come nella capitale, anche a Salerno lo scalo ferroviario abbia a che fare con testimonianze archeologiche e funerarie. E difatti quando nel 2009 fu eseguita la pavimentazione tra la piazza e via SS Martiri i tecnici progettisti e direttori dei lavori, l’architetto Antonio Carluccio e l’ingegnere Benedetto Troisi, per gli scavi necessari alla sistemazione dei sotto servizi e alla posa in opera della pietra vulcanica molto alta, chiesero fossero svolti sotto il costante controllo della Soprintendenza Archeologica che li fece giungere oltre i 3 metri, dove fu rinvenuta una necropoli ben conservata composta da numerose tombe del tipo “colombari”, di cui quelle di maggiore interesse furono trovate sotto l’attuale traversa di via Giacinto Vicinanza. È molto probabile, pertanto, che intorno a tale quota, lungo il corso, si trovino importanti reperti di epoca romana ed etrusco-romana.
Alcuni resti infatti sono stati rinvenuti tutt’ora visibili sotto il fabbricato dell’ex cinema Metropol, e sotto l’edificio della banca d’Italia, e, di tali ritrovamenti, in municipio non sembra vi sia traccia, sebbene vi sia una documentazione conservata negli uffici della Soprintendenza Archeologica. Un modo corretto di affrontare lavori del genere è nella messa allo scoperto dei ritrovamenti offrendo alla lettura anche testi e tavole esplicative sì da rendere edotti della storia della città cittadini e visitatori. E invece il nuovo tratto di pavimentazione, che dopo le note polemiche la ditta appaltatrice si accinge ad eseguire nella parte del corso tra via SS. Martiri e via Diaz sarà limitato alla sola superficie con la mera sostituzione dello strato pavimentale, senza sia previsto alcuno scavo per la verifica di presenze archeologiche, laddove il sottosuolo potrebbe presentarsi ricco di reperti come può desumersi dai resti presenti a vista nell’edificio in angolo con via Diaz, il palazzo “Barracano”, dal cognome di Luigi Vincenzo Francesco, l’jndustriale salernitano che lo fece erigere come propria dimora. Il palazzo attuale costruito tra il 1910 e il 1920 è un lascito particolare al Comune che prevedeva l’usufrutto dei proprietari e presenta nella muratura, ovvero sul parapetto del terrazzo di copertura, elementi di spoglio di epoca Romana o preromana sicuramente ripresi durante la sua realizzazione da elementi architettonici di tombe o edifici interrati. Questo fa pensare vi siano nel sottosuolo prospiciente possibili testimonianze di un’epoca antica. Illustrandosi quale “Corso da re” la strada voleva alludere alla memoria della città ed anche, essendo la passeggiata dei salernitani, al divenire regale dei cittadini cui si offriva un luogo più bello e più ricco di cultura. Ma si trattava di una cultura diversa da quella cui qualche settimana fa si è richiamato De Luca a Napoli in una manifestazione con i cosiddetti operatori culturali.
Mentre nel caso di Giordano si promuoveva la città e i suoi eventi, nel caso di De Luca si promuovono principalmente gli “operatori”, tutti appartenenti al cosiddetto “sistema” promosso sin da quando era sindaco di Salerno e tutti mossi anche dall’interesse personale, come è per Gubitosi che nei giorni passati si è sbracciato a favore di De Luca circa i fondi di Sviluppo e Coesione, timoroso di vedere forse sminuire i finanziamenti per il Giffoni film festival ma anche il proprio stipendio superiore, secondo il Corriere, a quello di Mattarella, o per gli organizzatori del festival “Linea d’ombra” o del “Festival della letteratura” o delle varie sagre del caciocavallo di cui ha riferito la presidente del consiglio Giorgia Meloni. Si sa che le corti oltre che dal re, dai nobili e dagli intellettuali erano anche costituite da “nani e ballerine”. Per questo forse il nostro corso, invece che “corso da re”, potrebbe essere detto “corso dei giullari”.