Corrado Lembo: La visita di Cariello non fu da me provocata né poteva essere gradita per le indagini in corso - Le Cronache
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Corrado Lembo: La visita di Cariello non fu da me provocata né poteva essere gradita per le indagini in corso

Corrado Lembo: La visita di Cariello non fu da me provocata né poteva essere gradita per le indagini in corso

Sono un attento lettore di giornali e ho imparato da tempo a distinguere le “notizie in sé”, che costituiscono il sale della corretta informazione critica, dalle “pseudo-notizie”, costruite ad arte, con accostamenti arbitrari quanto “sapienti”, all’unico scopo di creare confusione, disorientamento e sconcerto nella pubblica opinione. Dal quotidiano “Cronache” del 10 giugno u.s., apprendo d’essere diventato, per concorde giudizio del giornalista Peppe Rinaldi, del titolista e del direttore del giornale, oggetto di un “caso”, con specifico riferimento a “tagliandi omaggio per i concerti a toghe salernitane”, emessi dalla “PREMIATA BIGLIETTERIA DI CARIELLO” IN FAVORE DI “MAGISTRATI E FORZE DELL’ORDINE” (tal è il tenore letterale del titolo dell’articolo in questione). Solo nella seconda pagina, però, si apprende che la notizia che mi riguarda non attiene alla ricezione dei suddetti tagliandi ma ad un fatto del tutto diverso. Nell’articolo si accenna, infatti, ad una visita del Sindaco pro tempore di Eboli, Massimo Cariello, avvenuta il 9 marzo 2018, presso l’Ospedale di quella città, dove chi scrive era stato ricoverato d’urgenza per gravi problemi cardiaci. Nulla a che vedere, dunque, con i biglietti omaggio per i concerti dispensati a “toghe salernitane”! Vi è, tuttavia, un “sapiente” – quanto improprio – accostamento tra la visita dell’ex Sindaco Cariello alle coeve indagini in corso sul conto di quest’ultimo presso la Procura della Repubblica di Salerno, da me diretta fino al 13 settembre 2018, come se la visita fosse stata compiuta allo scopo di ingraziarsi il capo dell’ufficio inquirente. Ho vaga memoria di quella “visita” (il 9 marzo 2018 avevo subito un intervento al cuore, seguito da altro intervento, avvenuto il successivo 12 marzo), che certamente non fu da me provocata né poteva essere gradita per la concomitanza delle indagini. Ma sono certo che, per ragioni di mera cortesia istituzionale e personale (il Cariello era accompagnato da altre due persone tra cui, mi sembra di ricordare, il Direttore sanitario dell’Ospedale), non l’avrei comunque impedita, né avrei avuto modo di farlo, nelle mie precarie condizioni di salute, se non a prezzo di suscitare una inutile e dannosa pubblicità. Ricordo, peraltro, che la visita è durata pochissimi minuti e si è svolta nel piccolo reparto di degenza nel quale ero ricoverato insieme con altri cinque malati gravi, assistiti da infermieri e familiari. Il giornalista, tuttavia, pur dando atto che l’incontro non era stata da me deciso, ipotizza pure che (può essere che…”) io l’abbia “cortesemente scansata”. Ma, come ho già detto, non ho precisa memoria di quella visita né, tanto meno, della mia presunta, cortese manovra elusiva. Devo aggiungere che, durante la mia degenza in Ospedale, moltissime persone, autorità, parenti, amici, colleghi ed esponenti delle istituzioni locali mi hanno fatto visita manifestandomi la loro sincera solidarietà. Ciò che più mi duole, però, è la malevola insinuazione, contenuta nell’articolo del giornalista Rinaldi, che la visita dell’ex Sindaco di Eboli fosse in qualche modo in relazione sia con le indagini in corso a suo carico sia con l’appoggio elettorale asseritamente dato dal Cariello a mio figlio Andrea. Quanto al primo aspetto, parlano i fatti, più che le insinuazioni: le indagini aperte dalla Procura di Salerno sono continuate serenamente e senza intoppi fino alla loro naturale conclusione con l’esito a tutti noto. Sul secondo aspetto, non v’è alcun elemento di fatto idoneo ad accreditare l’insinuazione del giornalista secondo cui tale sostegno elettorale sarebbe stato “ineludibile”. Non entro neppure nel merito dell’asserito sostegno. Chi mi conosce e, soprattutto, chi ha avuto modo di osservare serenamente la mia attività professionale sa bene che non ho mai, dico mai, confuso o contaminato l’esercizio della giurisdizione con la politica. Anch’io, come quel giudice caro a Calamandrei, per lunghi anni, ho consumato i miei pasti in solitudine, in varie parti d’Italia dove sono stato chiamato a svolgere le mie funzioni, affrontando le forme più efferate ed insidiose del terrorismo, delle mafie e dei torbidi intrecci tra politica e malaffare. Per circa trent’anni ho dovuto condurre una vita blindata, sotto scorta armata, costantemente controllato a vista dai miei “angeli custodi”, entrati a fare parte della mia famiglia. Anche i miei figli hanno dovuto subire, per quasi cinque anni, lo stesso trattamento, in presenza di un concreto e costante pericolo di vita. Non ho mai coltivato amicizie e conoscenze a fini di potere, né avrei avuto tempo e modo di tradire la missione alla quale sono stato sempre fedele. Non credo, dunque, di meritare un ripasso della lezione di Calamandrei evocata dal giornalista Rinaldi. Sono fiero che mio figlio Andrea ami la politica ed abbia esercitato i suoi diritti costituzionali, ivi compreso l’elettorato passivo, come ogni buon cittadino. E tuttavia la mia professione, vissuta intensamente giorno per giorno, da mattina fino a tarda sera, mi ha impedito di seguirne i passi in quell’ambito, alto ed impervio, della vita civile: non mai potuto assistere, per ovvie ragioni di opportunità e riservatezza, ai suoi comizi, condividerne l’impegno forte e sincero, assecondare con consigli la sua passione, come forse un buon padre avrebbe dovuto. Ancora una volta, per rispetto della mia professione, sono stato distante, mio malgrado. Mi resta, tuttavia, la consolazione che il Consiglio Superiore della Magistratura, sollecitato da una ben datata e strumentale campagna di stampa ordita per sostenere una mia presunta incompatibilità ambientale, ha escluso la sussistenza dei relativi presupposti.E per concludere con le parole del Calamandrei, che tanta parte del mio impegno professionale ha ispirato e guidato, vorrei dire che la libertà – ed anche e soprattutto la libertà di stampa – è “come l’aria che respiriamo”, alimenta la nostra mente e i nostri cuori, le nostre opere, il nostro impegno civile. Ma – mi permetto sommessamente di aggiungere – se quest’aria pura, fonte di vita, è inquinata dalla maldicenza gratuita e dall’insinuazione malevola, senza alcun rispetto per la verità e la dignità delle persone, quella stessa libertà diventa nociva fino al punto da costituire un vulnus per l’ ordinamento costituzionale che ha il suo primo fondamento nella persona umana e nella sua speciale dignità. Diceva il grande filosofo cattolico Rosmini: “la persona è diritto sussistente” e dunque a nessuno è concesso intaccarne la dignità.

Corrado Lembo