La risposta a questa cruciale domanda dipende dal grado di intelligenza, di passione, di speranza e di solidarietà che sapremo infondere alle nostre scelte e alle nostre azioni.
Di Alessia Potecchi
La festa del 1° maggio, il Natale dei lavoratori nasce il 20 luglio 1889, a Parigi. A lanciare l’idea è il congresso della Seconda Internazionale Socialista riunito in quei giorni nella capitale francese per organizzare simultaneamente in tutti i paesi del mondo una manifestazione per portare la giornata lavorativa a otto ore. La scelta cade sul 1 maggio. Una scelta simbolica: tre anni prima, infatti, il 1 maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago, era stata repressa nel sangue. Si tratta all’inizio solo di una audace scommessa dall’esito quanto mai incerto per la mancanza di un unico centro coordinatore a livello nazionale; il Partito Socialista e la Confederazione Generale del Lavoro sono di là da venire e la garanzia di una opportuna organizzazione sembra alquanto difficile. Non si sa poi in che misura i lavoratori saranno disposti a scendere in piazza per rivendicare un obiettivo, quello delle otto ore giornaliere di lavoro o per testimoniare semplicemente una solidarietà internazionale di classe.
Proprio per questo la straordinaria riuscita del 1 maggio 1890 costituisce una felice sorpresa, un salto di qualità del movimento dei lavoratori che per la prima volta dà vita ad una mobilitazione su scala nazionale, per di più collegata ad un’iniziativa di carattere internazionale. Visto il successo di quella che avrebbe dovuto essere una manifestazione episodica viene deciso di replicarla l’anno successivo. Il 1 maggio 1891 conferma la straordinaria partecipazione di uomini e donne a quell’appuntamento caratterizzato da una forte tensione ideale. La Seconda Internazionale dei movimenti e delle organizzazioni socialiste decide di rendere permanente quella che, da lì in avanti, dovrà essere la “festa dei lavoratori in tutti i paesi”. Inizia così la tradizione del 1 maggio, un appuntamento al quale il movimento dei lavoratori si prepara con sempre minore improvvisazione e con grande e crescente consapevolezza conscio della sua forza e convinto portatore dei valori della solidarietà e della unità. L’obiettivo originario delle otto ore viene arricchito con altri obiettivi: la salute, la tutela del lavoro femminile e minorile, le riforme politiche e sociali. Durante il fascismo la festa del lavoro viene soppressa e sostituita con quella del 21 aprile per celebrare l’anniversario della fondazione di Roma ( il cosiddetto Natale di Roma) Il 1 maggio diventa clandestino in Italia divenendo una coraggiosa occasione per esprimere in forme diverse – dal garofano rosso all’occhiello alle scritte sui muri – l’opposizione al regime fascista. Gli antifascisti esuli all’estero mantengono viva la tradizione: grande è il ruolo di Bruno Buozzi Segretario Generale della Cgil in esilio a Parigi. All’indomani della Liberazione, il 1 maggio 1945, partigiani e lavoratori, anziani militanti e giovani che non hanno memoria della festa del lavoro, si ritrovano insieme nelle piazze d’Italia in un clima di entusiasmo. A Rovigo il comizio del 1 maggio è tenuto da Sandro Pertini che lo dedica a Matteotti: “…Giacomo, siamo tornati, abbiamo mantenuto gli impegni, abbiamo sconfitto e annientato il fascismo, abbiamo riconquistato la libertà…..”. Oggi più che mai sentiamo vivo il sentimento e il significato del primo maggio che la storia ci consegna. Viviamo in un momento terribile, viviamo in un tempo che nessuno si sarebbe mai aspettato o immaginato, viviamo sospesi rinunciando alle nostre abitudini, alla nostra quotidianità, alle nostre relazioni e ai nostri affetti. Ci attende un periodo molto difficile, a causa del Coronavirus, un nemico insidioso, sconosciuto, pericoloso. Si moltiplicano l’ansia, la paura, l’insicurezza, la solitudine. A questo si aggiunge una grave crisi economica che questa pandemia ha provocato con conseguenze gravi sull’occupazione, sulle condizioni economiche dei lavoratori costretti in questi mesi alla cassa integrazione con il fondato timore di una crescente disoccupazione. Si diffonde il naturale sentimento di tornare rapidamente a come eravamo. Ma non sarà così: forse è esagerato dire che nulla sarà come prima, certamente una buona parte dei nostri modelli di vita andranno ripensati. Saremo semplicemente diversi o anche migliori? La risposta a questa cruciale domanda dipende dal grado di intelligenza, di passione, di speranza e di solidarietà che sapremo infondere alle nostre scelte e alle nostre azioni. Occorre ripartire con coraggio e determinazione per ridurre gli squilibri, accorciare i divari, mettere in campo tutte le risorse disponibili. Bisogna affrontare l’emergenza con il dialogo fra i partiti, le parti sociali, sindacati e imprese È indispensabile che le istituzioni riescano a governare la transizione evitando le conseguenze; soprattutto quelle di riduzione del lavoro, di compressione dei salari e, dunque, di ulteriori diseguaglianze. Al centro di questo quadro c’è il lavoro, che oggi più che mai significa ripartenza, speranza, fiducia nel futuro, lotta per preservare la qualità della vita perché il lavoro rappresenta la più alta espressione della personalità e della professionalità di ciascuno di noi per trovare in questa società una realizzazione. Il 1 maggio testimonia il ruolo decisivo dei lavoratori nella coraggiosa lotta di liberazione dal nazifascismo quando si scioperava per affermare la libertà e la democrazia; quando si presidiavano le stesse fabbriche che volevano dire pane e sopravvivenza per un popolo che stava subendo i disastri della guerra e della dittatura. Il primo maggio ha il volto di grandi sindacalisti, Di Vittorio, Bruno Buozzi, Achille Grandi e venendo più vicino a noi Lama, Carniti e Benvenuto che hanno fatto la storia delle organizzazioni sindacali. Noi, che oggi viviamo questo tempo inusuale, dobbiamo guardare alla festa del lavoratori con i messaggi, le parole, le azioni che questa ricorrenza porta con sé e da qui trarre nuova linfa come fecero tanto tempo fa i lavoratori che chiedevano condizioni dignitose per rialzarci e ricostruire. Il primo maggio ci porta ancora indietro nel tempo, alle rivendicazioni che sono state alla base dell’emancipazione delle tante lavoratrici e tanti lavoratori che hanno lottato per ottenere condizioni dignitose. La storia del primo maggio ci rassicura e ci sprona: non dobbiamo rassegnarci, non dobbiamo avere paura, non dobbiamo considerarci dei vinti. Occorre reagire, agire, progettare, pensare, proporre. Come ieri anche oggi l’unità, la sinergia, la solidarietà, il dialogo saranno i valori guida per uscire da questo tunnel in cui ci troviamo per vedere una luce che sarà ancora più forte e chiara di prima. Se saremo capaci di passare dalla protesta alla proposta, se sapremo rimboccarci le maniche, se faremo prevalere la solidarietà e l’unità sull’individualismo e la frammentazione potremo costruire il futuro senza timore. Viva il primo maggio!
Responsabile Dipartimento Banche, Fisco e Finanza del PD Milano Metropolitana