Di OLGA CHIEFFI
“I colori, così come influiscono sugli stati d’animo, così si adattano a stati d’animo e circostanze. Popoli vivaci come i francesi, ad esempio, amano particolarmente i colori intensi del lato attivo. Genti più misurate come gli inglesi e i tedeschi preferiscono il giallo-cuoio o giallo-paglia che accostano al blu. Le genti che tengono in considerazione la dignità, come gli italiani e gli spagnoli, scelgono per il mantello un rosso che tende al lato passivo”.
Johann Wolfgang von Goethe , l’ultimo genio rinascimentale, è stato non solo un grande letterato, ma anche un pittore, uno scienziato e un pensatore a “tutto tondo”. Nel saggio “Zur Farbenlehre”, Goethe illustra la sua teoria scientifica sui colori e sulla loro percezione che, nelle sue intenzioni, doveva rappresentare un nuovo modo di interpretare non solo l’ottica, ma la fisica e, più in generale, la scienza. Si tratta di uno scritto che si discosta molto dalle sue composizioni letterarie, anche se ne contiene al suo interno lo stile poetico associato però a una visione scientifica, e mette in risalto la complessità del fenomeno cromatico e l’ingerenza non trascurabile che ha l’organo della vista nei confronti della percezione luminosa e della sua traslitterazione nel colore. Nondimeno, approfondendo l’azione sensibile e etico-morale del colore, e la sua funzione estetica e artistica, Goethe si pone in contrapposizione, in una “onorevole contesa”, alla visione Newtoniana strettamente scientifica del fenomeno, ridando dignità sensibile e poetica al fenomeno fisico. I colori sono qualche cosa di vivo e di umano, e trovano la loro completa giustificazione fenomenologica in quella macchina fisica che è l’occhio umano e nel meccanismo della visione, ma soprattutto nella spiritualità e nell’animo dell’osservatore, con una metrica di giudizio che seppure deve generalizzare in forma universale, deve tuttavia conservare quella sfumatura che è l’interpretazione personale. Ecco che Goethe ricorda una espressione del filosofo Plotino: “Un occhio non avrebbe mai visto il sole se non fosse simile al sole; ugualmente, l’anima non potrebbe vedere il bello, senza divenire essa stessa bella”. Questa, probabilmente, è la chiave di lettura per comprendere e valutare tutta la portata della concezione scientifica di Goethe: per lui, l’occhio che osserva e studia la natura non può prescindere dallo spettacolo della bellezza e non può porsi davanti ad essa che in atteggiamento nobilmente pensoso e conscio del mistero che in essa si cela. Questo l’assunto cui si sono ispirati attraverso i loro scritti, per invitarvi a far parte di quel clima particolare che si vive nella giornata dedicata all’ Apostolo Matteo, Rino Mele, Federico Sanguineti, Mario Fresa, Marco Alfano, Marco Vecchio, Nunzia De Falco, Ambra De Clemente, Luca Gaeta, Gaetano Del Gaiso, Roberto Cardella, Adolfo Gravagnuolo, in comunione con le immagini dei fotografi Armando Cerzosimo e Francesco Truono.