Questa sera, alle ore 21, l’attrice romana debutterà sul palcoscenico del teatro Verdi col suo spettacolo “Storie di Claudia”
Di OLGA CHIEFFI
Claudia Gerini torna al teatro dopo 13 anni di assenza, visto che l’ultimo suo debutto dal vivo risale al 2002, alle prese allora con Closer di Patrick Marber, e stavolta, da questa alle ore 21, sino a domenica in pomeridiana, sul palcoscenico del teatro Verdi, sarà la protagonista assoluta di Storie di Claudia , con regia di Giampiero Solari, “un corpo di ballo composto da sei ballerini”, arrangiamento e direzione musicale di Leonardo De Amicis, musicista in scena, il pianista e tastierista Davide Pistoni, video di Giuseppe Ragazzini e coreografie di Roberta Mastromichele. La Gerini si avvale di una storia romanzata per parlare di se stessa, cita un’immaginaria signorina Maria che la ha iniziata all’arte, educandola sentimentalmente allo spettacolo. Una specie di libro aperto del palcoscenico di buona parte del ‘900, una sorta di baule pieno di vicende e nomi clamorosi. Sarà la signora Maria a farle sentire il fascino delle luci della ribalta, tanto che Claudia a quindici anni confiderà per prima a lei di essersi iscritta a un provino di “Non è la Rai” e di essere stata scritturata. Storie di Claudia è un’opera sull’orgoglio femminista, un amarcord intenso e gradevole di una donna emancipata che racconta la conquista dei suoi spazi sociali, ispirata da giganti icone della rivoluzione tutta al femminile nel mondo. Il testo è cucito ad arte sull’attrice romana rimarcandone il talento attoriale, canoro e circense. Il suo percorso artistico, che parte dall’incontro con Gianni Boncompagni, figura di spicco della televisione del XX secolo, apre un notevole dibattito sullo showbiz e sullo spettacolo tutto. La trasmissione “Non è la RAI”, spartiacque televisivo degli anni novanta, ha consegnato meteore da un lato ed artiste affermate come la Gerini dall’altro. Il modello televisivo che imponeva e divulgava ha generato un filone mediatico che ancora oggi risente di quelle influenze. Il sogno di migliaia di ragazzine smaliziate che entravano con prepotenza nelle case degli italiani contrapponeva, in maniera feroce, il pubblico adulto a quello adolescenziale. L’età del professionismo televisivo abbassava notevolmente le sue pretese, i volti noti avevano le fattezze della compagna di banco di scuola o della vicina di casa. Quel meccanismo produttivo avrebbe generato in seguito i desideri delle “Veline d’Italia” prima e degli eserciti assoggettati e dominati, attraverso lo spioncino, dall’occhio indiscreto del Grande Fratello in seguito. Claudia Gerini ci riporterà così alla tenerezza di momenti autobiografici, mischiati ad altri a carattere simbolico, rappresentazione della bellezza, della fatuità e del coraggio che ci vuole a calcare il palcoscenico, della fatica di doversi dividere tra l’impegno di madre e quello di attrice. Ironizza sugli splendori delle passerelle di Cannes e Venezia dove le dive indossano capi firmati solo a prestito, gioielli che appartengono agli sponsor ma, al rientro in albergo, anche il loro sogno si dissolve. La Gerini si sofferma molto e volentieri su Carmen Miranda, su Marlene Dietrich, su varia polvere di stelle. Niente imitazioni ma suggestioni, non celebrando i singoli miti, ma riprendendone i modi. Un importante elemento attuale è costituito dalle proiezioni pittoriche di Giuseppe Ragazzini, tante scenografie che cambiano, un vintage poetico e disegnato, un Roger Rabbit al contrario. La Gerini vi si cala come una bambina, come se si avverassero dei sogni, sino a ritrovarsi in bilico in un numero di danza aerea tra gli abissi e le altezze del proprio io.