di Red.Cro.
Ci fu abuso di ufficio sull’attuale sindaco di Napoli ed ex pm Luigi de Magistris. La Corte di appello di Salerno ha riformato parzialmente la sentenza emessa in primo grado del procedimento nato dallo “scontro tra procure” che aveva assolto tutti gli imputati per la revoca – illecita dell’inchiesta “Poseidone” e per l’avocazione del procedimento “Why not”, accogliendo l’atto di appello proposto da de Magistris. I giudici di secondo grado hanno dunque riconosciuto che ci fu una violazione di legge nella revoca fatta il 29 marzo 2007, riguardo l’inchiesta “Poseidone”, dall’allora procuratore aggiunto di Catanzaro Salvatore Murone, in concorso con il senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli e con l’allora sottosegretario alle attività produttive Giuseppe Galati: in questo caso è stato ritenuto che i fatti fossero riconducibili al reato di abuso d’ufficio, per il quale è stato dichiarato di non dover procedere per intervenuta prescrizione. Illegittima anche l’avocazione del procedimento “Why not”, che risale al 19 ottobre 2007 sempre “a firma” di Murone con il supporto di Dolcino Favi, avvocato generale facente funzioni di procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro, e Antonio Saladino, imprenditore della Compagnia delle Opere: anche in questo caso i fatti sono stati ritenuti riconducibili al reato di abuso d’ufficio, per cui si è dichiarato di non dover procedere per intervenuta prescrizione. Già il primo grado di giudizio aveva visto un sensibile rallentamento del procedimento: la prima udienza si effettuò il 2 febbraio 2011, quasi quattro anni dopo i fatti, e si concluse il 20 aprile 2016 dopo ben 98 udienze. In quel caso, ossia dopo il primo grado di giudizio, il collegio della prima sezione penale aveva assolto gli imputati pur riconoscendo in sentenza l’effettiva violazione di legge. Ma in quel caso – e giustamente, stando a quanto emerso poi dalla riforma della sentenza emersa dalla Corte d’appello di Salerno – l’ex Pm ed attuale primo cittadino di Napoli aveva impugnato la sentenza, con il supporto dei suoi legali Stefano Montone ed Elena Lepre, grazie ai quali è stato possibile rendere giustizia ad un percorso professionale dell’allora pm che ha visto una effettiva limitazione delle sue attività all’interno delle inchieste.