Cf: il mistero dei 700mila euro - Le Cronache Ultimora
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Cf: il mistero dei 700mila euro

Cf: il mistero dei 700mila euro

 di Peppe Rinaldi

 

L’intenzione era di rilevare in blocco tutte le farmacie del circuito del Cfi, scaricandone poi i costi sulla collettività, un copione conosciuto, per quanto in linea teorica legittimo. Ma l’operazione andò a farsi benedire, non tanto per le resistenze opposte da un dirigente del tempo – parliamo di poco meno di due anni fa – ma perché la procedura che la «cordata» di imprenditori milanesi aveva proposto non fu proprio ortodossa: per fare una cosa del genere, vale a dire comprare i punti vendita del Consorzio farmaceutico intercomunale, era necessaria una gara pubblica. I «milanesi» non vollero e il tentativo fallì. Chi si prodigò in favore fu l’ex presidente della Provincia nonché ex di molto altro, quel Franco Alfieri oggi all’angolo in attesa che il suo destino si compia nel fluire di una storia già vista.

Tutto partì da una telefonata di un consigliere comunale di Baronissi, del Pd, rivolta all’uomo che da qualche anno governava politicamente il Cfi, cioè Alfieri: “Ci sono queste persone intenzionate a comprare le farmacie, tu come la vedi, possiamo fare qualcosa?” fu la domanda del consigliere. Parliamone, replicò il presidente. Di qui inizia il corteggiamento, tipico in ogni relazione umana, per favorire la cosa. Il bubbone del Cfi poteva essere rimosso, dunque, ricavandone danaro fresco, oltre al fatto che ci si sarebbe liberati della «zavorra» dei dipendenti (quelli dei punti vendita), dall’assedio dei creditori e di chissà cos’altro nell’ambito dei mille guai scatenati da una governance (si dice così?) politica sgangherata produttrice di una ventina di milioni di euro di debito, che sarà poi pagato dalla solita collettività: tutto questo mentre i vari organi di controllo del territorio erano impegnati a moralizzare il mondo secondo precetti di altri decaloghi. E proprio ieri s’è appreso dell’arrivo di una mail ai lavoratori nella quale si annuncia il blocco dei conti correnti da parte dell’Ade per una miriade di tasse, chiamiamole così, mai versate. I dipendenti saranno pagati in ordine alfabetico man mano che arrivano gli incassi dai punti vendita. Un bel quadretto.

Tornando alla questione della vendita in blocco, non se ne fece nulla, si diceva, perché le insistenze del mediatore incaricato, tal dottor Penserini (si è poi scoperto fosse uno stretto collaboratore di uno dei principali fornitori di farmaci del Cfi) si scontrarono con le perplessità del dirigente interpellato. Quest’ultimo era costantemente compulsato ma ciò è assolutamente normale: lo diventa meno, però, quando si tenta di aggirare gli ostacoli (legali) opposti dalla struttura consortile all’operazione. Insomma, il dirigente rispondeva al mediatore che la cosa si poteva discutere ma sarebbe stata necessaria una previa gara pubblica, non si trattava di un acquisto come un altro vista la natura del Cfi, di ciò che v’era dietro e tutto il resto. Ma il mediatore insisteva e la cosa andò avanti per un po’ di tempo. Finché questo stesso dirigente non fu convocato da Alfieri in Provincia.

 

L’incontro in Provincia e il «niet» opposto al presidente

 

“Buongiorno, come stai? Al Cfi tutto bene?” esordì l’allora numero 1 di Sant’Agostino. Che aggiunse: “Senti, questi amici di Milano, amici degli amici di Baronissi, mi sollecitano, la cosa mi sembra buona, come mai tutte ‘ste resistenze?’”. Chi si trovava dinanzi ad Alfieri in quel momento pare abbia risposto: “Ma, presidente, io non ho nulla in contrario: sono certo, però, che non c’è bisogno di dirle che per questo tipo di cose o si fa una gara pubblica oppure niente. A meno che non vogliamo andare tutti dritti in galera”. “Ma no, vediamo un po’ come possiamo aggiustare, ragioniamoci, può essere che risolviamo un’intera situazione”. Questa la sintesi del colloquio nella nostra libera ricostruzione di fatti realmente accaduti. Nulla impone di pensare che ci fosse malafede alla base dell’allora presidente della Provincia, anzi vien da credere che si trattasse di una speranza nella via d’uscita da una situazione non più sostenibile, da un lato: ma è altresì legittimo sospettare il contrario, alla luce anche degli eventi successivi. Infatti, per la galera ci penserà poi da sé lo stesso Alfieri dopo un paio d’anni, ma questa è un’altra storia pur collegata allo stesso Cfi, una delle sacche di approvvigionamento di viveri – pagati da altri – di figure e comparse del bosco e del sottobosco del «pubblico» genericamente inteso: non è un caso che nella marmellata di danaro collettivo vi abbiano intinto il proprio biscotto, a vario titolo, poliziotti, finanzieri, amici, amiche e amic* di toghe dell’uno e l’altro fronte, di sindaci, assessori e consiglieri comunali tuttofare, avvocati e commercialisti, informatici, promotori finanziari e così via.  Cronache sta visionando alcuni elenchi della categoria – mistica verrebbe da dire – dei «consulenti» del Cfi da cui emerge, non nuovo, un altro bel quadretto, un po’ macchiaiolo un po’ dadaista, di come ci si comporti in società quando ci si dedica a certe attività col sedere degli altri. Elenco del quale riparleremo. Col nuovo corso inaugurato dalla presidenza del Cda (che è altra cosa rispetto ai veri capi, cioè l’assemblea dei sindaci dei comuni soci che per anni hanno avallato la qualunque) dell’ebolitano Fausto Vecchio, si assiste a un primo tentativo di razionalizzazione ma è ancora presto per capirne l’approdo, al netto delle buone intenzioni. Va, infatti, ricordato che la presidenza del Cda attuale si è resa possibile unicamente perché Alfieri è stato estromesso ex abrupto dalla scena, tant’è che era un dato notorio che questi avesse sempre posto il veto all’ipotesi che Eboli, comune socio insieme a Salerno e Capaccio, guidasse il Cfi. Alfieri aveva concesso uno strapuntino al socio ebolitano anni prima piazzando nel Cda un suo uomo di riferimento, il quale nel corso del tempo s’è già caricato di numerose responsabilità.

Ritornando alla questione «milanese», essa continuò ancora per qualche tempo tra incontri, sollecitazioni, telefonate e tutto il resto: finché, un giorno, pian piano evaporò, scongiurando forse la possibilità che al danno «storico» si aggiungesse anche quello attuale del cerino in mano all’ultimo della fila.

 

Spuntano 700mila euro sospetti

 

Intanto, da quel che Cronache è riuscito a scoprire nelle ultime ore, oltre al già citato elenco di consulenti pagati e/o strapagati dal Cfi (qualcuno anche di recente), ci sarebbe un nuovo elemento «esplosivo», come il gergo della cronaca imporrebbe di scrivere, et pour cause: circa 700mila euro potrebbero essere stati pagati dal Consorzio in favore di società, persone e ditte, versamenti che non trovaerebbero alcuna giustificazione. Pare ci fosse un conto corrente sconosciuto alla contabilità del Cfi, cioè ci si sarebbe accorti che del danaro transitava dai conti del consorzio verso un conto corrente che nessuno conosceva: può capitare, certo, ma è da dimostrare che sia stato un caso, ammesso che qualcuno te ne chieda conto. Il rapporto bancario sospetto sarebbe in essere presso una filiale della Bper, la stessa banca attinta dalle «macabre» manovre sottrattive di danaro al Comune di Cava de’ Tirreni, fatti al centro dell’opinione pubblica da qualche tempo, come i nostri cinque lettori avranno di certo afferrato. Non solo, ma sarebbe spuntato anche un flusso di soldi verso una società sconosciuta all’anagrafe del Cfi, di nome “Virgola”. Potrebbe aprirsi dunque un nuovo capitolo di questa epopea, in senso giudiziario, perché secondo alcune indiscrezioni lo stesso Cfi starebbe per depositare una denuncia specifica, stavolta alla procura di Salerno, che è competente sul Cfi a differenza del caso di Cava dove sta lavorando, dicono, la procura nocerina: insomma, siamo alla guerra tra il prima e il dopo o tra il dopo e il prima, questione di angolo visuale. Salvo errori o ravvedimenti dell’ultima ora questo potrebbe essere il cuore dell’attualità vissuta dalla struttura consortile.

Infine, cosa ci impone la logica di base in situazioni come queste? Nulla di nuovo, solo ragionare. E allora: se a Cava c’è stato un certo tipo di problema con al centro un autorevole ex dirigente comunale e questo problema era composto dai sei zeri dei circa 2,5 milioni di euro svaniti nel nulla e solo parzialmente recuperati, e se al Cfi si scopre una situazione sovrapponibile quasi del tutto alla prima, con gli stessi personaggi, stesse procedure, stesse tecniche, stessi istituti di credito, si può concludere che l’eziologia del caso ci riporta sempre allo stesso punto?

ortodossa: per fare una cosa del genere, vale a dire comprare i punti vendita del Consorzio farmaceutico intercomunale, era necessaria una gara pubblica. I «milanesi» non vollero e il tentativo fallì. Chi si prodigò in favore fu l’ex presidente della Provincia nonché ex di molto altro, quel Franco Alfieri oggi all’angolo in attesa che il suo destino si compia nel fluire di una storia già vista.

Tutto partì da una telefonata di un consigliere comunale di Baronissi, del Pd, rivolta all’uomo che da qualche anno governava politicamente il Cfi, cioè Alfieri: “Ci sono queste persone intenzionate a comprare le farmacie, tu come la vedi, possiamo fare qualcosa?” fu la domanda del consigliere. Parliamone, replicò il presidente. Di qui inizia il corteggiamento, tipico in ogni relazione umana, per favorire la cosa. Il bubbone del Cfi poteva essere rimosso, dunque, ricavandone danaro fresco, oltre al fatto che ci si sarebbe liberati della «zavorra» dei dipendenti (quelli dei punti vendita), dall’assedio dei creditori e di chissà cos’altro nell’ambito dei mille guai scatenati da una governance (si dice così?) politica sgangherata produttrice di una ventina di milioni di euro di debito, che sarà poi pagato dalla solita collettività: tutto questo mentre i vari organi di controllo del territorio erano impegnati a moralizzare il mondo secondo precetti di altri decaloghi. E proprio ieri s’è appreso dell’arrivo di una mail ai lavoratori nella quale si annuncia il blocco dei conti correnti da parte dell’Ade per una miriade di tasse, chiamiamole così, mai versate. I dipendenti saranno pagati in ordine alfabetico man mano che arrivano gli incassi dai punti vendita. Un bel quadretto.

Tornando alla questione della vendita in blocco, non se ne fece nulla, si diceva, perché le insistenze del mediatore incaricato, tal dottor Penserini (si è poi scoperto fosse uno stretto collaboratore di uno dei principali fornitori di farmaci del Cfi) si scontrarono con le perplessità del dirigente interpellato. Quest’ultimo era costantemente compulsato ma ciò è assolutamente normale: lo diventa meno, però, quando si tenta di aggirare gli ostacoli (legali) opposti dalla struttura consortile all’operazione. Insomma, il dirigente rispondeva al mediatore che la cosa si poteva discutere ma sarebbe stata necessaria una previa gara pubblica, non si trattava di un acquisto come un altro vista la natura del Cfi, di ciò che v’era dietro e tutto il resto. Ma il mediatore insisteva e la cosa andò avanti per un po’ di tempo. Finché questo stesso dirigente non fu convocato da Alfieri in Provincia.

 

L’incontro in Provincia e il «niet» opposto al presidente

 

“Buongiorno, come stai? Al Cfi tutto bene?” esordì l’allora numero 1 di Sant’Agostino. Che aggiunse: “Senti, questi amici di Milano, amici degli amici di Baronissi, mi sollecitano, la cosa mi sembra buona, come mai tutte ‘ste resistenze?’”. Chi si trovava dinanzi ad Alfieri in quel momento pare abbia risposto: “Ma, presidente, io non ho nulla in contrario: sono certo, però, che non c’è bisogno di dirle che per questo tipo di cose o si fa una gara pubblica oppure niente. A meno che non vogliamo andare tutti dritti in galera”. “Ma no, vediamo un po’ come possiamo aggiustare, ragioniamoci, può essere che risolviamo un’intera situazione”. Questa la sintesi del colloquio nella nostra libera ricostruzione di fatti realmente accaduti. Nulla impone di pensare che ci fosse malafede alla base dell’allora presidente della Provincia, anzi vien da credere che si trattasse di una speranza nella via d’uscita da una situazione non più sostenibile, da un lato: ma è altresì legittimo sospettare il contrario, alla luce anche degli eventi successivi. Infatti, per la galera ci penserà poi da sé lo stesso Alfieri dopo un paio d’anni, ma questa è un’altra storia pur collegata allo stesso Cfi, una delle sacche di approvvigionamento di viveri – pagati da altri – di figure e comparse del bosco e del sottobosco del «pubblico» genericamente inteso: non è un caso che nella marmellata di danaro collettivo vi abbiano intinto il proprio biscotto, a vario titolo, poliziotti, finanzieri, amici, amiche e amic* di toghe dell’uno e l’altro fronte, di sindaci, assessori e consiglieri comunali tuttofare, avvocati e commercialisti, informatici, promotori finanziari e così via.  Cronache sta visionando alcuni elenchi della categoria – mistica verrebbe da dire – dei «consulenti» del Cfi da cui emerge, non nuovo, un altro bel quadretto, un po’ macchiaiolo un po’ dadaista, di come ci si comporti in società quando ci si dedica a certe attività col sedere degli altri. Elenco del quale riparleremo. Col nuovo corso inaugurato dalla presidenza del Cda (che è altra cosa rispetto ai veri capi, cioè l’assemblea dei sindaci dei comuni soci che per anni hanno avallato la qualunque) dell’ebolitano Fausto Vecchio, si assiste a un primo tentativo di razionalizzazione ma è ancora presto per capirne l’approdo, al netto delle buone intenzioni. Va, infatti, ricordato che la presidenza del Cda attuale si è resa possibile unicamente perché Alfieri è stato estromesso ex abrupto dalla scena, tant’è che era un dato notorio che questi avesse sempre posto il veto all’ipotesi che Eboli, comune socio insieme a Salerno e Capaccio, guidasse il Cfi. Alfieri aveva concesso uno strapuntino al socio ebolitano anni prima piazzando nel Cda un suo uomo di riferimento, il quale nel corso del tempo s’è già caricato di numerose responsabilità.

Ritornando alla questione «milanese», essa continuò ancora per qualche tempo tra incontri, sollecitazioni, telefonate e tutto il resto: finché, un giorno, pian piano evaporò, scongiurando forse la possibilità che al danno «storico» si aggiungesse anche quello attuale del cerino in mano all’ultimo della fila.

 

Spuntano 700mila euro sospetti

 

Intanto, da quel che Cronache è riuscito a scoprire nelle ultime ore, oltre al già citato elenco di consulenti pagati e/o strapagati dal Cfi (qualcuno anche di recente), ci sarebbe un nuovo elemento «esplosivo», come il gergo della cronaca imporrebbe di scrivere, et pour cause: circa 700mila euro potrebbero essere stati pagati dal Consorzio in favore di società, persone e ditte, versamenti che non trovaerebbero alcuna giustificazione. Pare ci fosse un conto corrente sconosciuto alla contabilità del Cfi, cioè ci si sarebbe accorti che del danaro transitava dai conti del consorzio verso un conto corrente che nessuno conosceva: può capitare, certo, ma è da dimostrare che sia stato un caso, ammesso che qualcuno te ne chieda conto. Il rapporto bancario sospetto sarebbe in essere presso una filiale della Bper, la stessa banca attinta dalle «macabre» manovre sottrattive di danaro al Comune di Cava de’ Tirreni, fatti al centro dell’opinione pubblica da qualche tempo, come i nostri cinque lettori avranno di certo afferrato. Non solo, ma sarebbe spuntato anche un flusso di soldi verso una società sconosciuta all’anagrafe del Cfi, di nome “Virgola”. Potrebbe aprirsi dunque un nuovo capitolo di questa epopea, in senso giudiziario, perché secondo alcune indiscrezioni lo stesso Cfi starebbe per depositare una denuncia specifica, stavolta alla procura di Salerno, che è competente sul Cfi a differenza del caso di Cava dove sta lavorando, dicono, la procura nocerina: insomma, siamo alla guerra tra il prima e il dopo o tra il dopo e il prima, questione di angolo visuale. Salvo errori o ravvedimenti dell’ultima ora questo potrebbe essere il cuore dell’attualità vissuta dalla struttura consortile.

Infine, cosa ci impone la logica di base in situazioni come queste? Nulla di nuovo, solo ragionare. E allora: se a Cava c’è stato un certo tipo di problema con al centro un autorevole ex dirigente comunale e questo problema era composto dai sei zeri dei circa 2,5 milioni di euro svaniti nel nulla e solo parzialmente recuperati, e se al Cfi si scopre una situazione sovrapponibile quasi del tutto alla prima, con gli stessi personaggi, stesse procedure, stesse tecniche, stessi istituti di credito, si può concludere che l’eziologia del caso ci riporta sempre allo stesso punto?

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