Catasto: cosa prevede la nuova riforma - Le Cronache
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Catasto: cosa prevede la nuova riforma

Catasto: cosa prevede la nuova riforma

Il catasto è l’archivio all’interno del quale vengono registrati tutti i dati inerenti agli immobili (inclusi quelli ai fini fiscali ed ipotecari), ossia terreni e fabbricati, presenti sul territorio italiano. In particolare, all’interno degli archivi catastali sono riportati i dati reddituali dei singoli beni, i riscontri anagrafici dei soggetti (fisici o giuridici) titolari dei diritti di godimento, le mappe e planimetrie catastali e gli atti di aggiornamento. Questi ultimi riguardano le varie formalità (consultabili tramite un’ispezione ipotecaria) che vengono comunicate e registrate all’interno degli archivi catastali. Come spiega il portale specializzato Ivisura.it, infatti, per comunicare variazioni al catasto è necessario attuare una procedura specifica, la voltura catastale. Si tratta, in sostanza, della registrazione di un trasferimento di un diritto reale da un soggetto all’altro, che si concretizza in caso di cessione, compravendita o successione.

Di recente, la nuova riforma del Catasto ha fatto molto discutere, alimentando un dibattito politico piuttosto acceso soprattutto in seno alla maggioranza di governo. Il motivo, in estrema sintesi, è che secondo alcuni i provvedimenti potrebbero comportare un aumento delle imposte sui beni immobili; in realtà, non sarà così. Di seguito, vediamo quali sono le principali direttrici della riforma e quando i provvedimenti entreranno in vigore.

La proposta di revisione del Catasto

La nuova riforma del Catasto è stata approvata, con lo scarto minimo di un solo voto (23 a 22), dalla Commissione Finanze della Camera il 3 marzo scorso. In realtà, i membri della Commissione hanno bocciato l’emendamento presentato dal centrodestra (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia) per rimuovere per intero l’articolo 6 della delega al Governo per la riforma fiscale. Il dispositivo recante “Princìpi e criteri direttivi per la modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili e la revisione del catasto dei fabbricati”, è quello in cui sono riportati gli estremi della proposta di riforma del catasto avanzata dall’attuale esecutivo. Ma cose prevede, in concreto, la revisione proposta dal Governo?

In estrema sintesi, la riforma riguarda perlopiù i metodi di individuazione e di classificazione degli immobili, con particolare riferimento a quelli che non risultino ancora censiti oppure non rispettino la consistenza, la destinazione d’uso o altri parametri. In aggiunta, la riforma interessa i terreni edificabili accatastati come terreni agricoli e gli immobili abusivi, mettendo a disposizione dei comuni maggiori risorse per le attività di verifica e per garantire la trasparenza di tali operazioni.

La seconda lettera dell’articolo 6 della delega, invece, fa particolare riferimento al potenziamento degli strumenti telematici e digitali, al fine di rendere più agevole la gestione e la condivisione dei dati tra l’Agenzia delle Entrate e gli enti locali.

L’integrazione dei dati catastali

Uno degli aspetti più significativi, e discussi, della riforma catastale riguarda l’integrazione di maggiori informazioni catastali, a partire dal 1° gennaio 2026. Tali informazioni riguardano, in maniera diretta, aspetti di natura fiscale e tributaria e rappresentano senza dubbio la parte più controversa della riforma.

Come si legge in un comunicato stampa pubblicato sul sito del Governo, “gli estimi catastali, le rendite e i valori patrimoniali per la determinazione delle imposte rimangono quelli attuali. Le nuove informazioni raccolte non avranno pertanto alcuna valenza nella determinazione né delle imposte né dei redditi rilevanti per le prestazioni sociali”.

Al contempo, in base a quanto riportato nel dossier delle Camere inerente alla delega per la riforma fiscale, “tale integrazione dovrà attribuire all’unità immobiliare un valore patrimoniale e una rendita attualizzata, rilevati in base ai valori di mercato, anche attraverso meccanismi di adeguamento periodico. Per le unità immobiliari riconosciute di interesse storico o artistico sono, inoltre, da introdurre adeguate riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario considerati i più gravosi oneri di manutenzione e conservazione”.

In sostanza, come già accennato, la riforma non introdurrà nuove tasse, dal momento che i parametri di riferimento resteranno immutati.