di Alessandro Turchi, presidente di Salerno Migliore
In questi giorni una notizia ha fatto breccia sui quotidiani locali suscitando il flebile entusiasmo di chi ancora si illude che le nostre istituzioni abbiano coscienza e sappiano progettare a media o lunga scadenza il bene di Salerno. Il Castello di Arechi, quel bellissimo “oggetto” che sovrasta Salerno e che potrebbe esserne il simbolo, è stato riaperto al pubblico dopo l’incendio che pochi mesi fa ha distrutto la collina adiacente. L’enfasi con cui alcuni esponenti della Provincia, che gestisce il Castello, hanno annunciato al mondo questa riapertura, contrasta decisamente con il fatto che da sempre questa opera viene dimenticata e non valorizzata. Eppure tante città nel mondo saprebbero farlo, vorrebbero farlo, non ci si lascia scappare così facilmente un’occasione di attrazione per i turisti, un punto di riferimento da visitare. Pensiamo, per un attimo, trasferendoci dall’altra parte del mondo, negli Stati Uniti, al Cloisters Museum di New York, una abbazia romanica ricostruita sfacciatamente con pezzi “importati” da edifici medievali di mezza Europa del XII secolo. Un museo che di fatto è un falso, essendo una ricostruzione surreale, neanche coerente con un contesto metropolitano moderno e avulso dalla storia europea. Una location surreale, a settemila chilometri da casa nostra, eppure le persone dopo aver visitato Manhattan in lungo e largo spendono 25$ per entrare (gli anziani 17) lì. La domanda che ci facciamo è quali meravigliosi progetti avrebbe potuto approntare Eric Leroy Adams, sindaco di New York, se avesse avuto a disposizione un castello medioevale vero a 300 metri di altitudine sopra la città, con un panorama mozzafiato su un bellissimo golfo? Un castello che ci arriva quasi intatto dal lontano VI secolo dopo Cristo, dai tempi di Narsete. Stiamo parlando di valorizzazione del territorio, adi turismo, di capacità di rivalutare luoghi che attirano visitatori, di siti speciali che da soli potrebbero valere milioni di euro di entrate. Altri che non siano i nostri poco lungimiranti amministratori svilupperebbero all’ennesima potenza le potenzialità di un castello come l’Arechi, ne farebbero un polo di attrazione straordinario, da inserire nella programmazione delle mète di un viaggio culturale, in percorsi turistici comprendenti Pompei, Paestum, Amalfi e la Reggia di Caserta. Al momento tutto questo sembra utopia, un sogno che si scontra brutalmente con una classe dirigente incapace sia di pensare sia di attuare progetti del genere, troppo impegnata ad occuparsi della politica con la p minuscola. Oggi lo riaprono il nostro castello, non si sa per farne cosa. Forse matrimoni, cene a tema o eventi teatrali estemporanei, magari utilizzandolo come scenario di qualche sfilata di moda o di qualche compleanno originale. Pur essendo un’affascinante costruzione che sovrasta la nostra città in una condizione di estrema visibilità, rappresentando quindi uno scenario decisamente suggestivo, continua ad essere una grande incompiuta senza una vera e propria destinazione d’uso. La Salerno proiettata in una dimensione turistica sembra dimenticare, nei fatti, uno dei luoghi che maggiormente potrebbero catalizzare l’attenzione dei viaggiatori, un luogo ancora oggi conosciuto da pochissimi. Eppure basterebbero una buona pubblicità per metterlo in risalto e farlo conoscere; un programma preciso e continuo di mostre, eventi, manifestazioni con iniziative lungo tutto l’arco dell’anno che affianchino i normali percorsi guidati; una funivia o, almeno dei bus dedicati a tutte le ore, magari collegati a percorsi organizzati, con navette che, partendo dal centro, ma anche dal porto, potrebbero accompagnare i tantissimi turisti che oggi non ne conoscono neanche l’esistenza. Su quei pullman dovrebbero trovare posto anche tanti nostri giovani preparati e pronti a diventare guide, per spiegare il percorso e la mèta. Ci piacerebbe immaginare anche una serie di spettacoli con dimostrazioni rievocative in costumi d’epoca, e decine di iniziative imprenditoriali, con bar, locali, punti di ristoro, magari con pietanze tipiche dell’epoca e prodotti delle nostre eccellenze enogastronomiche. Per quanti anni ancora saremo costretti ad occuparci di cassonetti, di marciapiedi sporchi e di auto in tripla fila, distraendoci dalla valorizzazione della nostra città, che passa, ovviamente, da idee e progetti seri?