di Oreste Mottola
Fu etichettato come “il delitto della superstizione”, forse uno degli ultimi di questo genere. Siamo nel 1914, a Castel San Lorenzo, Valle del Calore, economia relativamente fiorente per via del già avviato commercio dei vini verso le grandi città campane. Una ragazza del paese, per rafforzare il suo legame con l’aitante contadino Carlantonio, suo promesso sposo ma insidiato da altre pretendenti, bevve delle pozioni miracolose che le vendette una vecchietta. Non era di certo il famoso “marzafecatu” – salame tipicamente castellese – ma pericolose schifezze che potremmo definire, senza possibilità di sbagliare, veleno. Altro che prospettive verso l’amore eterno, l’effetto fu naturalmente opposto, la sua salute peggioro velocemente e niente poterono medici e medicine dell’epoca. Furono invano consultati anche dei luminari della non lontana Roccadaspide. La ragazza morì non molto tempo dopo e Carlantonio impazzì di dolore.
E come conseguenza accusò la vecchietta di stregoneria. E infatti intorno alla figura di questa vecchia sbilenca e taciturna la superstizione di tutto il paese aveva intessuto una fosca aureola di stregoneria di cui l’anziana donna tendeva ad atteggiarsi trovando comodo e fruttifero il lasciare correre questa sua triste fama di strega, circondandosi, per darsi maggior credito, di alambicchi e pentoloni fumanti. Nella piccola e misteriosa abitazione della fattucchiera, vi si recavano, caute, frettolose e guardinghe mogli, fidanzate ed amanti bramose di udire dalle labbra di lei una parola di conforto o anche di condanna, pur di uscire dall’ossessionante dubbio di gelosia dalle quali esse erano tormentate. E così fece anche quella ragazza a cui la strega predisse: «Carlantonio non sarà tuo!». E fu in un giorno, di un afoso agosto del 1914, che il giovane contadino accecato dalla rabbia, avendo scorto da lontano la strega che a passo lento, sotto il peso dei suoi settant’anni, si apprestava a tornare nella propria abitazione, decise di regolare i conti.
Non ci pensò su ed armato di scure corse verso di lei raggiungendola in pochi balzi. Con una roncola infierì più volte sulla vecchietta lasciandola poi agonizzante e immersa in una larga pozza di sangue. La storia arrivò alle orecchie del parroco di Roccadaspide che la trasformò in una cronaca e l’inviò a “Il Mattino” che la pubblicò etichettando il tutto come “il delitto della superstizione”. Il nuovo clima positivista e scientista si faceva strada e una storia simile, che sapeva di Medioevo, già agitava le coscienze. Per la popolazione non si trattava solo di un femminicidio – come l’avremmo etichettato oggi – ma un nero passato, fantasmi che si facevano sentire e che tornavano a galla. Carlantonio, reo confesso, non tornò più a Castel San Lorenzo e dopo qualche anno di carcere decise di prendere la via delle armi e sul Carso s’immolò. La sua amata non c’era più ad aspettarlo e perfino la trincea gli sembrò preferibile a tornare a vivere nel suo paese. Il suo nome oggi campeggia sul monumento ai caduti e, dopo più di un secolo dai tragici fatti, spesso un fiore vi è apparso vicino quasi a confortare quell’amore tragicamente spezzato da una stregoneria.