Caso Eboli, continua la polemica. Risposta a Rosania - Le Cronache
Cronaca

Caso Eboli, continua la polemica. Risposta a Rosania

Caso Eboli, continua la polemica. Risposta a Rosania

di Peppe Rinaldi

Caro direttore,

a volte un preambolo diventa necessario per capirsi meglio.

Come questo: io a Rosania darei le chiavi di casa, perché so che non solo non ruberebbe nulla ma neppure si sognerebbe di frugare nei cassetti. Lo conosco da tempo, quel tanto che basta da non condividere quasi niente del suo pensiero ma, al tempo stesso, per averne considerazione, non foss’altro per la robustezza di alcune posizioni – almeno ci ha risparmiato la gnagnera dell’«odio» – come s’è visto a Eboli il 17 dicembre sul tema dei temi: il conflitto ebraico-musulmano o israelo-palestinese, come Rosania, già materialista scientifico, forse preferirebbe chiamarlo provando a sottrarlo alla storia per consegnarlo al solo presente. In questa valle di lacrime del dibattito pubblico, però, Gerardo va inscritto nella tradizione dei polemisti (l’Illuminismo ha fatto anche cose buone) e, pertanto, Dio ce lo conservi a lungo. Fine del preambolo. Ora proviamo ad entrare nel succo per giulebbare la questione.

  • Oltre il preambolo

La data degli articoli è sospetta, allude Rosania, perché giunta «dopo 20 giorni dall’evento»: ha ragione, l’ironia sulla «coincidenza» è azzeccata perché fu una scelta precisa uscire il giorno della commissione consiliare, nella divertita ma vana speranza di avvelenare un pochino il pozzo. Sul melting-pot di nomi e circostanze, a suo parere slegati e inconsulti, pure dice il vero ma qui prova a far calare la notte in cui tutte le vacche sono nere, nel senso che quella girandola di riferimenti e analogie, ciascuna volutamente provocatoria ed iperbolica al pari della prolissità e della ridondanza dell’impianto narrativo, serviva per affrescare un contesto intellettuale e culturale: basti vedere l’ultimo recital pacifista del 14 gennaio a Napoli, riedizione su scala maggiore dei putipù del “Free Palestine” ebolitano.

La replica di Rosania, però, mi rafforza nel convincimento che i canoni della ragione, quindi del principio di realtà come precondizione di ogni analisi, sono saltati e, quando ciò avviene, il minimo che ti possa accadere è sentirti dare del nazista o del razzista. Cosa fu il nazismo, prima e dopo ogni altra cosa? Lo sterminio degli ebrei nelle forme che conosciamo, industrializzando con perizia teutonica l’incubo millenario di un popolo che Rosania sembra ignorare, al netto di una ritualistica, sincopata «condanna di Hamas». Cosa ci dice la vicenda palestinese, prima e dopo il pogrom del 7 ottobre? Fatta la tara delle dimensioni geo-politiche, ci dice la stessa cosa, il che implica un’analogica continuità, una sovrapponibilità tra i due mondi, una catabasi condivisa da cui difficilmente si potrà uscire a riveder le stelle (semi-cit.).

  • La terra e l’occupazione non c’entrano

La mia tesi, per quel che vale ma che ribadisco, è che la terra contesa c’entri ormai sempre meno, superata dalla fisionomia assunta nel corso degli anni fino alla caduta definitiva della maschera il 7 ottobre, quando il “ceasefire,” il «cessate il fuoco» durato in realtà fino a quel giorno, fu bestialmente interrotto dai palestinesi al grido non di “Ridateci la terra” ma di “Allah ‘u Akbar” che, lo capirebbe chiunque, significa tutt’altro. Un evento, peraltro, annunciato e praticato da anni con migliaia di assaggi, di prove generali, di esercitazioni sul campo, in Israele e nel mondo, con piogge di razzi sui civili, stragi e massacri ferini, un’orgia infernale di cinture esplosive, ordigni imbottiti di chiodi in bar e pizzerie, sgozzamenti a intermittenza e a casaccio, accoltellamenti, stupri e roghi di qualunque yahud (giudeo, come i palestinesi chiamano gli ebrei contraddicendo la pretesa primogenitura storico-territoriale, visto che giudeo significa “della Giudea”, quindi di un’entità che li precede) fosse possibile afferrare. Le bombe con la stella di David arrivano dopo, sempre dopo, non è il contrario, sono una risposta, non una domanda: la terra che si pretende occupata (conseguenza, tra l’altro, di guerre di aggressione a Israele e non di colonialismo sionista) è parte di questa storia, variante significativa ma non esaustiva, moltiplicatrice di un caos che si pone all’incrocio della storia di tutti noi, ma che non spiega il grande buco nero in cui è precipitato tutto. Compreso il cervello di numerose belle menti tra le quali, senza fatica, inserirei anche Rosania, visto che si spinge a dire una cosa platealmente non vera scrivendo che «la guerra è stata scatenata dal governo israeliano». Sicuro sicuro? 

  1. Il modulo scontato

Egli si chiede quale film io abbia visto per poter dipingere in quei termini la manifestazione per la “pace” di Eboli, patrocinata con colpevole superficialità dall’amministrazione, concertata attorno a un tavolo dove chi quella pace dovrebbe stringere neppure è invitato. Ovvio che manchi una credibilità di fondo. Il ragionamento di Gerardo combacia con il modulo che mi aspettavo, sorto tra gli anni ‘50 e ‘60 quando il compagno Nasser, disastroso presidente egiziano, corse in mutande dai sovietici per liberare la “Palestina” dal fiume al mare (From the river to the sea…giusto?) attraverso la crisi del canale di Suez. Sappiamo com’è andata, per fortuna. Arrivò poi Sadat, che voleva la pace dopo l’ennesima sconfitta nel ‘73 dello Yom Kippur e, manco a dirlo, fu fatto secco dagli islamisti perché con Israele quella pace la firmò veramente, et pour cause. Anche Rabin, statista ebreo spesso citato alla carlona dai “pacifisti”, fu ucciso nel ‘95 da un estremista israeliano (ci sono anche lì, seppur pochi, e appena sgarrano di un millimetro si fanno anni di carcere, in “Palestina”, invece, li festeggiano mentre incassano assegni per ogni shaid, ogni “martire”, in base a quanti ebrei ha ucciso) ma Rabin è famoso anche per aver detto che «la pace si fa col nemico»: se, quindi, fai una manifestazione per la pace senza appendere manco uno scudetto con l’effigie israeliana ma solo la bandiera palestinese, allora significa altro, vuoi che gli ebrei spariscano, è la logica che lo dice non l’«odio» di cui si farfuglia. Fino a quel tempo ricordato da Rosania, per la sinistra mondiale, Israele era un sogno della causa socialista, i kibbutz erano l’esperimento riuscito delle società autonome di eguali, stendardo di autodeterminazione e riscatto, specie dopo la Shoah. Contrordine compagni, giunse da Mosca la eco, ora i buoni sono i palestinesi e i cattivi gli israeliani, servi dell’imperialismo Usa, eccetera: e così fu, pian piano nacque la mitologia della rivolta, delle terre da liberare, degli oppressi da riscattare. Anche sotto il profilo estetico (la politica, come la vita, si ciba di simboli) l’immagine del palestinese col volto coperto dalla kefiah che, armato di una fionda, lancia pietre contro i tank israeliani, divenne lo stereotipo del diseredato contro il Moloch coloniale, anche per questo attrae moltissimi giovani poco ferrati in storia: come la faccia del Che, Bob Marley che soffre e fuma, Mandela che alza il pugno, Ghandi che macina chilometri, gli Inti Illimani che cantano la revoluciòn andina e Joan Baez che vuole andarsene dal Vietnam, tutti santini di un universo che vive un’eterna adolescenza intellettuale. Oggi hanno Fedez e Greta Thundberg, ma questa è un’altra storia ora.

  • Burocrazia Onu

Taglierei la parte delle risoluzioni Onu citate, potrei fare altrettanto, elencare documenti e carte e proposizioni, ciascuna ragionevole e giusta, ma questo è un modo per parlar d’altro, sapendo che l’Onu non può fermare neanche un accoltellamento tra baby gang. Se proprio si deve, segnalerei a Rosania la risoluzione n.1791/2006, riguarda il Libano e Hezbollah, poi ne riparliamo. Non è la guerra in Ucraina, dove – Gerardo si tenga forte – abbiamo punti in comune che forse non immagina: questa è la guerra della vita e della morte, non della cronaca ma della storia, anche di Rosania, il quale, però, essendo un disciplinato europeo moderno, come tale inaridito da un secolarismo autodistruttivo, forse giudica incredibile che milioni di esseri umani credano e siano mossi da convinzioni religiose, tant’è che ironizza sul “pan-islamismo” immaginario nei miei pezzi. Non mancano molti anni, si guardi attorno Rosania, il tasso di islamizzazione dell’Europa sarà a breve irreversibile e, a quel punto, non ci resterà che fare la “resistenza” armati di kit raccogli-feci di cani e gatti allevati mentre combattevamo il patriarcato, la discriminazione di genere e l’islamofobia. Lasciamo stare Ben Gurion o Andreotti, potrei opporgli alcuni errori di inquadramento storico-politico ma così rischiamo di arretrare fino a Nabucodonosor, l’argomento è complicato, per molti noioso, andrà già bene se lo stesso Rosania leggerà fino alla fine.

Cosa farei se fossi palestinese, domanda ancora. Farei esattamente le stesse cose, forse, ma il cuore del problema non è cosa farei ma se ciò che faccio o farei sia giusto o sbagliato. A meno che Rosania non intenda dire – di qui il nazismo a propria insaputa – che esista anche un solo centimetro quadro di terra sulla Terra che giustifichi il rapimento di Kfir Bibas (foto), bambino di 10 mesi strappato alla madre il 7 ottobre, forse ancora vivo; lo squartamento di donne incinta con decapitazione del bambino estratto dal grembo; il tiro al piccione su migliaia di giovani nel deserto, la maggior parte dei quali “odiavano” Nethanyau almeno quanto Rosania; legare alle sedie del tavolo i membri di pacifiche famiglie e cavare gli occhi ai genitori dinanzi ai figli per poi ucciderli festeggiando; sparare contro i bambini a caso, mutilarli di braccia e gambe; smembrare vecchi e malati, torcere il collo ai disabili, stuprare donne fino a rompere le ossa del pube e dar fuoco ai loro corpi ancora vivi, urinare sulle salme palpitanti di figli dinanzi ai loro padri e alle loro madri per poi massacrare ciascuno con giubilo e ringraziamento ad Allah; rapirne a centinaia per portarli nelle viscere del loro inferno sotterraneo costruito anche con i soldi delle tasse pagate da Rosania; squagliare col fuoco, da vivi, interi nuclei familiari tanto da dover ricorrere agli archeologi forensi per identificarne i resti. E, tutto questo, filmato e documentato come mai prima, non in una notte di follia di una gang di criminali su poche persone ma su migliaia di ebrei per mano di uno “stato” confinante che si era deciso di liberare nel 2005 (Gaza), con un governo “legittimo”, da un “esercito” regolare e con l’appoggio di larga parte della popolazione, oggi prigioniera e vittima delle sue scelte. Neppure i nazisti nei lager e i comunisti nei gulag o nei laogai, ripeto, fecero quelle cose e con tanta gioia manifesta.

  • Olocausto di un giorno

E’ stata la Shoah di un solo giorno, sufficiente a riaprire le cateratte della storia e costringere tutti ad una scelta decisiva: o di qua o di là, ecco perché le posizioni cerchiobottiste, come temo sarà quella del CC di Eboli, sono peggiori del peggio. C’è da rigirare la domanda: cosa farebbe Rosania se fosse israeliano? A quanto pare sta di là, in compagnia di tanta, tantissima gente che, obnubilata dall’ideologia e dallo studio sbilenco della realtà, immagina esista un popolo pio e laborioso, pacifico e operoso che non aspetta altro che essere liberato dalla dittatura israeliana che lo tiene in condizioni di apartheid, bestemmia vera e propria per uno stato dove circa due milioni di cittadini sono arabi che godono degli stessi diritti degli israeliani, tant’è che c’è la gara a prendere la cittadinanza. Gli oppressi sono oppressi dai palestinesi, dalla loro antropologia e dai loro errori storici. Israele è il Paradiso? Manco per idea, ovvio. Ma Israele, seconda gamba fondatrice della civiltà più avanzata che la storia dell’uomo abbia conosciuto (si chiama “cristiana”), deve sopportare l’ignominia piagnucolosa di pezzi d’occidente che lo vorrebbero cancellato, in nome della pace per giunta, quasi uno sfottò. La tragedia di Gaza è incalcolabile, dolorosissima, produce costi umani assurdi, nessuno vorrebbe quell’infinito disastro ma ogni singolo morto è da mettere sul conto di Hamas, dei palestinesi e della loro sperimentata incapacità di governare il proprio destino. Le colpe altrui vengono dopo, semmai, ma senza verità non può esserci giustizia. Se pure quella causa avesse avuto le ragioni elencate da Gerardo – e non le ha – col 7 ottobre le ha perse tutte. Rosania, rapito dallo schema semiologico “occupati v/s colonialisti”, cioè da un mondo che non esiste dopo la fine del movimento che fu di Arafat e Habbash, trascura un particolare decisivo: una cosa è l’interesse di uno stato, altra cosa è l’istinto di sopravvivenza di un popolo che, mentre noi ci balocchiamo con la pace, è attaccato su otto fronti diversi, a valle di secoli di analogo trattamento. Il disastro del 7 ottobre lumeggia una realtà cui i “pacifisti”, per congenito difetto strutturale, difficilmente perverranno, proprio perché hanno stampati nella testa il Davide della fionda contro il Golia del tank. Il 7 ottobre non ha fatto rinascere la questione palestinese ma, come ha scritto l’intelligente Giuliano Ferrara, uno stato-guarnigione disposto a tutto perché non ha nulla da perdere.