Sarà il trombettista sardo ad inaugurare la XIII edizione del Festival Jazz&Pop del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, di scena da domani al 21 maggio sul palcoscenico del Teatro Augusteo
Di Olga Chieffi
Vetrina di assoluto prestigio per la XIII edizione del Festival Jazz&Pop del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, di scena al teatro Augusteo domani alle ore 21. E’ questa tre giorni, che si concluderà domenica, il fiore all’occhiello della produzione della massima istituzione musicale cittadina, guidata da Fulvio Maffia, che ha il compito anche di presentare alla città quanto si impari e realizzi nel settore, per così dire, extra-colto e jazz. Ma, le barriere di genere non devono esistere, in ossequio proprio ad uno dei massimi compositori del secolo breve, Duke Ellington che affermava “Ci sono due tipi di musica: la buona musica e tutto il resto”. Per la serata di venerdì, l’apertura, l’accoglienza, è stata affidata alla formazione “New Generation” agli ordini di Guglielmo Guglielmi il quale schiererà il crooner Antonio Valentino, le vocalist Vittoria Lo Monaco, Sara Renèe Piccirillo, Marianna Tutela e Roberta Vellucci, con Giuseppe Alfano alla tromba, Pasquale Geremia al sax tenore, Christian Carola al trombone, Francesco Serra al pianoforte e tastiere, unitamente a lui stesso a far da piano conductor, Fabiana Esposito alla chitarra elettrica, Gaetano Del Prete al basso elettrico e Angelo Gregorio alla batteria. Una New Generation tra bop e vocalese con tre titoli importanti da Joy Spring del trombettista Clifford Brown, uno standard nelle classiche 32 misure terreno fertile per sperimentare fraseggi in diverse chiavi, rimanendo su uno schema molto fluido un vero esempio di fraseggio bebop, di eleganza d’espressione e di tecnica sopraffina, quello inciso nel 1954 insieme a Max Roach, a “Moody’s Mood For Love” una canzone del 1952 di Eddie Jefferson, la cui melodia è stata ispirata da un assolo del sassofonista James Moody e del pianista Thore Swanerud registrato nel 1949 della song “I’m In The Mood For Love”. Gli studenti del Martucci si congederanno dal palco dell’Augusteo sulle note di Girl Talk di Neil Hefti, scritta per il film Harlow, sulla celebre diva del cinema, prima di salutare il pubblico con Tomorrow (A Better You, Better Me) di Quincy Jones, una specie di talismano per questi giovani, poiché proprio Jones volle che l’incisione di questo brano, fosse una combinazione di giovani talenti e musicisti veterani e promettenti. Palco, quindi, per il Paolo Fresu Devil quartet il gruppo più “elettrico” del jazz italiano degli ultimi anni, che si è riconvertito all’acustico nel suo ultimo progetto “Carpe Diem”, tutto giocato sull’affiatamento spontaneo del gruppo e sulla varietà di climi sonori. Un gruppo composto da quattro musicisti dalla spiccata personalità e di consolidata esperienza, che trovano stimoli ulteriori alle loro carriere in un progetto di composizioni originali di tutti i partecipanti. Paolo Fresu ha abituato i suoi estimatori a repentini cambiamenti di “combo” jazzistico, spesso travalicando i confini alla ricerca di novità, passando dal suo originale quintetto acustico alle soluzioni più differenti, percorrendo spesso le strade della sua natìa Sardegna e sconfinando frequentemente nella “seconda patria” francese. L’urgenza di ricerca e di mutazioni lo ha portato, fra le altre cose, a questa formazione in quartetto che schiera come solista al suo fianco l’eccellente Bebo Ferra, a sua volta interprete di uno stile molto personale a cavallo fra la tradizione acustica e riferimento a modelli anche del primo jazz-rock. Fresu e Ferra mostrano comunque una cifra stilistica molto personale, sorretta dall’inimitabile contrabbasso di Paolino Dalla Porta e dalla versatile batteria di Bagnoli, che pone in dialogo autentici specialisti dei loro strumenti in una nuova e sorprendente versione acustica, raggiungendo un risultato finale, che, come avviene sempre nel jazz ben suonato, è superiore alla somma dei singoli. La regia sapiente di Fresu governerà una musica che lui stesso definisce “melangé”, frutto di incroci di stili e linguaggi diversi, intensa, aperta, innovativa. Che la musica di Fresu e della sua formazione, nonostante la presenza del diavolo nel nome, sia sostenuta dal pensiero più che dall’istinto lo si intenderà al loro apparire in palcoscenico con quella compostezza senza pari, regalandoci una straordinaria qualità di esecuzione, esaltata dalla freschezza sempre mantenuta vivissima, dalle soluzioni espressive, dalla perfetta combinazione di lucida razionalità e di poetico abbandono, in un miracolo di interazione dei musicisti, in un simpatetico, ferace interplay, fondato su di un canovaccio cantante dalle lunghe, flessibili linee melodiche, capace di produrre una notevole varietà di colori e di situazioni. Un concerto in cui le soluzioni predominanti saranno nate e “allevate” in ambito squisitamente jazzistico, sulle quali sono state tolte finalmente le briglie alla fantasia. Su queste tracce, il Devil Quartet troverà il modo di scivolare con la sua raffinata eleganza, in un fluxus di idee in continua evoluzione nel loro sviluppo, suggerendo e completando a vicenda le proprie architetture, ricche di luci, di segni, in una iridescente e caleidoscopica creatività, formante un mosaico affermazione di spontaneità, feeling, semplicità, in tempi in cui il linguaggio jazzistico diventa sempre più complesso e lo sviluppo di una diversa articolazione strumentale, l’affrontare strade nuove, deve anche poter significare non dover, ad ogni costo, cancellare i legami con un luminoso passato.