di Oreste Mottola
Nel 2011 dei pirati somali sequestrano nell’Oceano Indiano la nave mercantile «Rosalia D’Amato», con i 22 membri dell’equipaggio a bordo: furono rilasciati solo sette mesi dopo. «Dovevo essere anche io su quella nave. Rifiutai l’imbarco solo perché mi ero appena lasciato con la mia ragazza e non me la sentii di partire». Carmine Luisi, 35 anni, di Ottati, paesino di 600 abitanti nel cuore del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, alle pendici dei Monti Alburni, racconta la sua decisione di lasciare una carriera iniziata a 15 anni all’istituto nautico di Salerno, dove si era iscritto per seguire le orme di alcuni parenti di Sorrento che già lavoravano nella marineria, raggiungendo negli anni il grado di secondo ufficiale, ad un passo dal diventare primo ufficiale. Poco più di due anni fa il 35enne decide di lasciare il lavoro e tornare ad Ottati per riprendere una vecchia tradizione di famiglia ereditata dal nonno, allevare api. Oggi nella sua azienda agricola «Melisir» produce non solo miele ma anche prodotti derivati. «La scelta di cambiare vita l’ho presa alla fine della pandemia di Covid. Dopo la prima ondata tornai ad imbarcarmi – ricorda -: dovevo restare su una nave per quattro mesi per portare un carico di 80 mila tonnellate di grano in Cina. Eravamo nelle acque territoriali del Vietnam quando improvvisamente il motore della nave andò in avaria. Per giorni restammo in balia delle onde, un’esperienza terribile. Poi finalmente arrivò un rimorchiatore e riuscimmo, in due mesi, ad attraccare in un porto cinese. Non potevamo sbarcare perché all’epoca tutto il Paese era in quarantena, e così rimanemmo sei mesi a bordo della nave. Fu inutile ogni tentativo dell’ambasciata italiana di farci scendere per poter rientrare in Italia, le autorità cinesi erano rigidissime. Poi – prosegue – dopo 6 mesi arrivò l’ok: prima però dovemmo fare una quarantena di 15 giorni. Furono due settimane difficili, ero in una stanza di un albergo dalla quale non potevo uscire: ci portavano da mangiare due volte al giorno, ma il cibo, tranne l’uovo la mattina e il riso, non era granché. Terminata la quarantena potemmo finalmente tornare a casa. Una volta in Cilento ho iniziato a guardarmi indietro e a riflettere sui rischi di una carriera che non immaginavo fosse così pericolosa. E, dopo una lunga e sofferta riflessione, la più difficile della mia vita, decisi che non avrei mai più messo piede su una nave». «Una decisione shock per familiari e amici – afferma -, visto che avevo un lavoro stabile e ben pagato. Ma ero determinato a cambiare vita, e oggi a distanza di due anni posso dire di aver fatto la scelta giusta, nonostante anche la mia nuova attività non sia facile da portare avanti. Ma il contatto con la natura e la terra mi gratifica e mi fa sentire bene. Sto cercando pian piano di allargare la produzione, ampliando le tipologie di miele, e i prodotti derivati, dalle creme ai saponi, dalle caramelle ai biscotti. Inoltre – aggiunge – sto studiando per produrre l’idromele, una bevanda antichissima che vorrei recuperare». Luisi non nasconde che in un piccolo paese, dove le conseguenze dello spopolamento sono evidenti, al pari di altre realtà simili, gli inconvenienti non mancano, a partire dalla difficoltà di creare un’economia circolare per la presenza di poche persone. «Allo stesso tempo – aggiunge – questi territori immersi nella natura hanno un grande potenziale turistico, ma occorre che i giovani ci credano e investano, magari in strutture ricettive o nella ristorazione di qualità. Sono certo – conclude – che se c’è l’offerta anche la domanda non tarderà ad arrivare».