Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo: Salerno nel pallone - Le Cronache
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Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo: Salerno nel pallone

Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo: Salerno nel pallone

Al Santiago Bernabeu sono le 20:00 dell’11 luglio quando l’arbitro Coelho fischia il calcio d’inizio di Italia–Germania Ovest, la finale del campionato del mondo di calcio 1982. Gli Azzurri, in difficoltà per quasi tutto il torneo, stanno per vincere clamorosamente il loro terzo mondiale. Eppure quella Italia si presentò ai Mondiali sommersa dalle critiche, dopo delle qualificazioni insoddisfacenti e le contestazioni al CT Enzo Bearzot per la scelta di convocare Paolo Rossi, fermo da due anni per squalifica, invece di Roberto Pruzzo, capocannoniere della Serie A. Come se non bastasse, la prima fase a gironi degli Azzurri è disastrosa, con tre deludenti pareggi contro Polonia, Perù e Camerun. Poi, tutto cambia: la vittoria contro l’Argentina di Maradona, l’incredibile tripletta proprio di Paolo Rossi con il Brasile e la semifinale con la Polonia portano l’Italia alla finale decisiva di Madrid contro la Germania. Di lì in poi è tutto un susseguirsi di emozioni, immagini e frasi indimenticabili: dall’iconico urlo di Tardelli al fatidico “Campioni del mondo” ripetuto tre volte dal grande Nando Martellini. Dal «Non ci prendono più», pronunciato dal Presidente Pertini al minuto 81, alle mani tese di Zoff che sorreggono la coppa. Dalla pipa e gli occhi felici di Enzo Bearzot alla partita di scopone sul volo di ritorno dal trionfo Mundial. Ma quella vittoria inaspettata ha decisamente travalicato lo sport, diventando il simbolo di un paese che usciva dagli anni 70 del terrorismo, per entrare nei colorati anni 80: il riscatto del Made in Italy, del benessere e delle tv commerciali. Un tripudio di patriottismo e di unità nazionale. «Voi non vi rendete conto di quel che avete fatto per il vostro Paese», disse Pertini ai neo campioni del mondo, intendendo rimarcare che non si trattava “solo” di un risultato calcistico, ma che anzi, sotto il punteggio solenne di 3 a 1, si nascondesse qualcosa di ben più sostanzioso. Il tutto a conferma che lo sport, quando si professa in forma di leggenda, assume un valore antropologico e riesce perfino a cambiare il corso degli eventi. Di quella notte, e di ciò che ne conseguí successivamente, tutti ricordano tutto come, ad esempio, Vincenzo Vigilante: «Alla vigilia di quel mondiale, nessuno o quasi credeva nella vittoria finale. Onestamente, io fui il primo a non crederci, anche perché all’inizio l’Italia soffrì molto, ma poi, strada facendo, tutto cambiò. Quella fatidica serata la trascorsi a casa dei miei suoceri insieme a tutta la famiglia. Il batticuore fu costante dall’inizio alla fine, sebbene fin dall’inizio si intuì che ce l’avremmo fatta. Ricordo che, dopo il fischio finale, ci riversammo in strada a via Settimio Mobilio per festeggiare e aspettare i caroselli. Ricordo che riuscii a rimediare anche un tricolore per puro caso e non smisi mai di sventolarlo per tutta la notte. Momenti impossibile da dimenticare e che custodirò per sempre». Emozioni uniche vissute anche dall’ex calciatore della Salernitana Nando Di Francesco: «La cosa più bella di quella partita fu l’attesa, perché avevamo tutti la certezza di vincere dopo le grandi vittorie contro l’Argentina di Maradona e contro il Brasile, probabilmente, più forte di tutti i tempi. La mia carriera calcistica finì proprio quell’anno. Ero a Salerno,ormai la mia citta’ d’adozione. Alcuni amici partirono per Madrid senza biglietto e fui tentato anch’io di andare, ma alla fine desistetti. In quella nazionale avevo alcuni amici come Ciccio Graziani, mio compagno di squadra ad Arezzo, il massaggiatore Sandro Selvi, un personaggio paragonabile a Bruno Carmando per la sua simpatia, e Il mister Bearzot, che ho avuto come allenatore della Nazionale Italiana di Serie C quando militavo nel Pescara. Una persona speciale. Rassicurante ma burbero, con dei modi molto paterni nei confronti dei suoi calciatori. La partita la vidi da solo, come facevo sempre quando giocava la Nazionale. Provai una gioia immensa. Ricordo che piansi alla vista dell’esultanza del presidente Pertini. Per la mia generazione, quei momenti sono iconici e indimenticabili». Vittoria importante non soltanto dal punto di vista prettamente calcistico, come sottolineato da Antonio Palo: «Ricordo che quel mondiale fu un crescendo di emozioni. Quella nazionale fu capace di trasportarci veramente in una realtà nuova. Venivamo dai terribili anni di piombo, e quella nazionale fu capace di farci vivere un sogno nuovo, facendoci unire sotto il tricolore. Ricordo che mi trovavo a casa di amici con mia moglie, un anno dopo il nostro matrimonio. L’entusiasmo fu così coinvolgente che persino una signora di 78 anni, al termine della partita, volle scendere in strada munita di coperchi di pentole per partecipare ai festeggiamenti. Lo ricordo come se fosse ieri, e credo di non poterlo mai dimenticare». Dulcis in fundo, il ricordo di Costantino Piccolella: «Quella notte fu scritta una pagina di storia. Ricordo che, poco più che ventiquattrenne, mi trovavo in compagnia della mia dolce metà Clelia, con cui convolai a nozze l’anno successivo. Decidemmo di assistere, in compagnia di amici, alla partita in un bar di Via Roma, nei pressi dea chiesa di Santa Lucia. Della partita ricordo praticamente tutto. Il presidente Pertini, a tifare sporgendosi ripetutamente dalla balaustra. Il rigore sbagliato da Cabrini verso la fine del primo tempo, la corsa di Tardelli, la voce del mitico Nando Martellini, Dino Zoff che alza la coppa al cielo. Ricordo al triplice fischio Salerno sembrava una polveriera, quasi un vulcano in eruzione. Noi salimmo sulla Vespa e iniziammo a fare i caroselli a suo di clacson a tutti volume. Spumante e fuochi d’artificio a tutto spiano, canzoni, sorrisi e lacrime di gioia e commozione. Ricordo che tanti salernitani fecero anche il bagno a Santa Teresa. Quella sera eravamo i migliori, almeno nel calcio. La piccola Italia aveva battuto e ridicolizzato i “panzer” tedeschi, ripetendo la mitica semifinale di Messico ’70. Eravamo felici, e questo ci bastava». Francesco La Monica