Il pianista statunitense chiuderà stasera, alle ore 20,30 sul Belvedere di Villa Rufolo, la LXVIII edizione del Ravello Festival, incarnandone attraverso la sua tastiera, le due anime, quella classica e quella jazz
Di OLGA CHIEFFI
Tra i caposcuola del jazz contemporaneo, Brad Mehldau, come Winton Marsalis o Enrico Pieranunzi, è uno dei pochi che, a buon diritto, può essere inserito in una programmazione di musica “seria”, per usare un termine caro a Wiesengrund Adorno, soprattutto se in piano solo. Non solo perché Mehldau ha più volte affrontato composizioni di autori classici, ha solo due anni, infatti, il progetto “After Bach”, ma, in particolare, per il fatto che è l’artefice di un pianismo a tutto campo, che possiede cioè un’ampiezza di sensibilità, di tocco e di riferimenti culturali, teso a trascendere pienamente il tipico e limitato approccio del pianismo jazzistico mainstream, rappresentante di un sincretismo culturale, che coniuga un’improvvisazione d’indubbia matrice jazzistica con l’elegante pronuncia classica, oltre al severo comportamento scenico, tipico della più canonica sala da concerto. Stasera, alle ore 20,30, sarà Brad Mehldau a sigillare la programmazione del Ravello Festival, sul Belvedere di Villa Rufolo, incarnandone così le sue due anime. Nella sua performance, potremo rintracciare di volta in volta la rilettura di temi del repertorio pop e jazz o classico, evocazioni, fantasmi, che verranno rielaborati, intrecciati con brani originali e citazioni di altre melodie, sviluppando, così, una personale improvvisazione tematica, una parafrasi degli stessi spunti melodici e, ancor più, dei diversi generi, dei modelli formali presi a riferimento. Cellule musicali note al pubblico, che forniranno il pretesto per un incedere costante e circolare, per godere del suo senso narrativo d’impronta neo-minimalista, dalle ipnotiche evocazioni. Immaginiamo che il programma possa contenere anche delle ballad dal seducente impianto melodico che verrà ritorto insistentemente su se stesso, una fuga, incrociata con uno swing incalzante, fondali sonori di coinvolgente omogeneità o l’esuberanza ritmica e timbrica di certa avanguardia. Apprezzeremo un pianismo frutto della concentrata ricerca di un equilibrio formale, la sapiente modulazione di un tocco raffinatissimo e di complessità armoniche, generante un decantato abbandono, un andamento narrativo avvolgente, magari sui temi di “After Bach”, ove alterna brani del genio di Lipsia, ad altri nati dalla personalità musicale del pianista statunitense. Mehldau rappresenta una dicotomia: è prima di tutto un improvvisatore, grandemente capace di nutrire la sorpresa e la meraviglia che possono derivare dall’espressione diretta di un’idea musicale spontanea in tempo reale; ma subisce anche un profondo fascino per l’architettura formale della musica. Nel suo modo di suonare più ispirato, la struttura presente nel suo pensiero musicale funge da dispositivo espressivo; mentre suona, ascolta come le idee si svolgono e l’ordine in cui si rivelano. Ogni melodia ha un arco narrativo profondamente interiorizzato, sia che si esprima in un inizio, in una conclusione, o in qualcosa lasciato intenzionalmente aperto. I due lati della personalità di Mehldau – l’improvvisatore e il formalista – giocano alternandosi a vicenda: l’effetto è qualcosa di simile al caos controllato, attraverso un’ampia gamma di espressioni, richiamante la giustapposizione degli estremi.
Olga Chieffi