BATTIPAGLIA. Una testa di suino. E un messaggio che lascia attoniti. E migliaia di ragionevoli dubbi. In città non si parla d’altro. Il macabro ritrovamento delle scorse ore, dinanzi alla porta d’un appartamento ubicato in una zona nevralgica di Battipaglia, è divenuto rapidamente argomento di discussione ovunque. «Chest è a fin ch fai»: un’espressione dialettale, impressa con la bomboletta spray rossa sulla porta e la parete esterna d’un alloggio di via Fratelli Rosselli, a corredo d’una testa di maiale lasciata a terra, proprio all’ingresso dell’abitazione. “Finirai decapitato”, insomma. Roba da Gomorra. Tanto più a pensare che, all’interno di quell’appartamento, fino a due anni fa, ci viveva Antonio Catarozzo, imprenditore battipagliese che, finito vittima dell’usura, denunciò i suoi estorsori.
Si trattava di Renato Piano e Gerardo Nigro (appartenente alla famiglia dei Garibaldi), due uomini considerati molto vicini al clan camorristico De Feo di Bellizzi, che, nel 2010, furono arrestati dai carabinieri della Compagnia di Battipaglia, diretta dal maggiore, all’epoca dei fatti capitano, Giuseppe Costa.
Sull’esempio di Catarozzo, altri commercianti presero coraggio e denunciarono, e così, in manette, finirono altre sette persone. Ora, la lunga saga s’arricchisce d’un mesto capitolo, quello del disgustoso ritrovamento in seguito al quale i militari dell’Arma, agli ordini del capitano Erich Fasolino, hanno avviato le indagini.
Eppure c’è qualcosa che non torna.
Alle 7 di venerdì mattina, giorno in cui è stata ritrovata la testa del suino, sul pianerottolo non c’era nulla; alle 8:15, poi, il macabro rinvenimento: in altre parole, chi ha agito sarebbe riuscito, alla luce del sole, in orari in cui, in un condominio, gira un bel po’ di gente, a varcare il portone del palazzo portando con sé una testa di suino. Il tutto a via Rosselli, strada centralissima, che conduce al municipio, in una zona dove sono installate numerosissime videocamere di sorveglianza.
E non è l’unica stranezza: s’è detto, infatti, che domani Catarozzo avrebbe dovuto deporre dinanzi ai giudici del Tribunale di Salerno, e s’è parlato del gesto come d’un atto di intimidazione per terrorizzare l’imprenditore battipagliese che avrebbe dovuto varcare la soglia di Palazzo di Giustizia. In realtà, non è così. Il processo, a seguito dell’inchiesta condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Salerno e coordinata dal sostituto procuratore Valleverdina Cassaniello, ebbe inizio nel 2011. E proprio tra il 2011 e il 2013, la corte ha ascoltato la parte offesa, per cui, in qualità di testimone, Catarozzo è già stato udito in quegli anni, e ora non può più ritrattare. Domani, al contrario, saranno ascoltati due marescialli dell’Arma dei Carabinieri, dal momento che, in Tribunale, è tempo delle audizioni degli ufficiali di polizia giudiziaria che sono intervenuti in prima persona in una spinosa vicenda, che, tra gli aguzzini, Vede pure notabili famiglie di commercianti e imprenditori. Il testimone, insomma, ha già testimoniato. Inoltre, nella casa di via Rosselli, Catarozzo non ci viveva più, giacché l’immobile è sottoposto a procedura esecutiva fallimentare. Nel 2006, infatti, la società d’idraulica di cui, insieme al fratello Giuseppe, Antonio Catarozzo era il titolare, fallì. Il tribunale, però, ha determinato la bancarotta fraudolenta.
L’imprenditore, ad ogni modo, non potrà beneficiare d’un mutuo dal Fondo di solidarietà per le vittime dell’usura. Nel 2012, infatti, sono stati applicati due nuovi commi all’articolo 14 della legge 108 del 1996: in una delle aggiunte, si specifica che «il mutuo non è concedibile all’imprenditore indagato, imputato o condannato per bancarotta semplice e fraudolenta». Carmine Landi