di CARMINE LANDI
BATTIPAGLIA. Sessantaquattro amministrazioni in ottantasei anni di storia. Governi cittadini che durano mediamente quindici mesi. Quinquenni di stabilità politica che mai nessuno è riuscito a garantire. Commissari, vicesindaci, assessori facenti funzioni e consiglieri anziani seduti sullo scranno del primo cittadino.
È il ritratto impietoso di questo lembo di terra all’ombra del Castelluccio.
Da Alfonso Menna, indimenticabile commissario prefettizio che governò il Comune di Battipaglia dal 1929 al 1931, nei primi tre anni di storia ufficiale della città, a Gerlando Iorio, Ada Ferrara e Carlo Picone, membri della commissione straordinaria che regge le sorti dell’amministrazione, nessuno tra i sindaci eletti dai cittadini ha saputo assicurare l’agognata stabilità politica alla “Milano del Sud”.
Ora, a Battipaglia, si parla nuovamente d’elezioni. Poco probabile che i battipagliesi tornino alle urne sul finir dell’anno corrente, poiché accreditate voci di corridoio riferiscono che a Roma sia già stata approntata la proroga per Iorio e i suoi.
Appuntamento al 2016, dunque, con il sessantacinquesimo amministratore che dovrà far di tutto per rimanere al governo per almeno cinque anni.
Nella storia recente, tuttavia, qualcuno s’era avvicinato a compiere l’impresa. È il caso di Fernando Zara, eletto nel 1994, che, dopo esser stato arrestato nel marzo 1997, riuscì a farsi rieleggere a novembre per poi esser dichiarato decaduto per incompatibilità – era diventato presidente di Alba Nuova – nel 2001, a un anno dal ritorno alle urne: in realtà, si trattava di un escamotage per ottenere da Forza Italia una candidatura alla Camera, che, tuttavia, sfumò all’ultimo secondo.. Per un anno il potere finì nelle mani del vicesindaco, Pasquale D’Alessio. Nel 2002 scoccò l’ora di Alfredo Liguori: pure lui fu tirato fuori dai giochi all’ultimo giro di boa, nel marzo 2006, quando sedici consiglieri comunali rassegnarono le proprie dimissioni. Un altro commissario, Pasquale Manzo, e poi, nel 2007, l’elezione di Gennaro Barlotti, che, vittima di altre dimissioni e di una mozione di sfiducia avallata proprio dal suo main sponsor, Gerardo Motta, decadde nel luglio 2008. Un altro commissariamento, targato Alfonso Noce, e nel 2009 fu eletto Giovanni Santomauro: quasi quattro anni per lui, fino all’arresto, nel 2013, a un anno dalle urne. Un commissario prefettizio, Mario Rosario Ruffo, e poi, nel 2014, le elezioni annullate dal decreto di scioglimento e l’arrivo della triade commissariale oggi in carica.
Nel 2016, allora, scoccherà l’obiettivo 2021: missione impossibile?
Il pericolo dei rapporti tra politica e camorra.
“Battipaglia non è terra di camorra”.
Un motivetto che, all’indomani dello scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione camorristica, “vola veloce di bocca in bocca” in città.
Dopo quanto accaduto sulle sponde del Tusciano, sia chiaro, gli amministratori futuri – ma pure i cittadini – dovranno tener gli occhi spalancati sui rischi di infiltrazione.
In effetti, s’è detto e s’è scritto tanto di criminalità organizzata, ma s’è compiuto sovente l’errore di guardarsi alle spalle con la spregiudicata presunzione di aver gli occhi rivolti al futuro.
Nell’era della “modernità liquida” (Zygmunt Bauman dixit), infatti, pure la delinquenza scorre fluida.
Gli ultimi fatti di cronaca – che, per intendersi, son quelli redatti sui fermi piuttosto che sulle ordinanze – consegnano ai battipagliesi un quadro in cui la criminalità cittadina pare essere al momento alle prese con un vuoto di potere.
Per farla breve, sono stati versati fiumi di inchiostro sull’Operazione Sistema e su arresti ordinati sulla base di un corposo apparato indagatorio che, tuttavia, si ferma al 2012. S’è scritto di un potenziale condizionamento dei voti. Ma qual è il presente? Stando alle indagini appena citate, infatti, il cartello battipagliese avrebbe messo in campo diverse attività tese ad assicurarsi il controllo del traffico degli stupefacenti. No allo spaccio forestiero, insomma. Eppure, le ultime azioni delle forze dell’ordine sul territorio fanno pensare a un mercato della droga che parla l’arabo e il tamazight. E poi scippi, furti, rapine. La sensazione, insomma, è che nella delinquenza cittadina – eccezion fatta per certi tipi d’imprenditoria delinquenziale – si sia determinato un vuoto di potere. Gli amministratori stiano attenti, ché laddove c’è un vuoto può arrivare chiunque. E può farlo ex abrupto. Occhi aperti, Battipaglia!