di Gemma Criscuoli
È impossibile sfuggire alla violenza del mondo, ma si può rinascere nella dimensione narrativa e fiabesca, l’unica degna di amore e memoria. Potente antitesi tra vita e oppressione, che intreccia ironia, tenerezza e crudeltà, “La donna albero” è lo spettacolo, applaudito al Teatro Ghirelli, ispirato a un racconto di Andrea Camilleri. Rosario Sparno dirige se stesso, Antonella Romano e Luca Iervolino in una vicenda in cui tutto ha la nudità concreta del fatto e le risonanze simboliche del mito. La parola del narratore è sempre stata costruzione della realtà: affidarsi a chi narra significa, infatti, entrare nell’essenza delle cose, proprio come un treno che giunge a destinazione. I tre viaggiatori, coinvolgenti e appassionati nel dar vita a tutti i personaggi, fanno dunque coincidere il loro viaggio col cunto di Nino e Minica, il cui desiderio di un figlio viene orribilmente calpestato. L’esortazione a vedere, nel momento in cui il cunto prende corpo, richiama la peculiarità del racconto, che consiste, in effetti, in uno sguardo che rivela, una prospettiva che esula dalle parole addomesticate. L’azione si svolge non a caso in epoca fascista (aggettivo puntualmente accompagnato da uno sputo liberatore): una dittatura è il più ottuso contraltare a ogni istinto sano, che sia il bisogno di perpetuare la propria vita in un bambino o la leggerezza di chi trasforma le canzoni del fascio in allegre ballate, scelta che difatti costa, sia pur per poco, il carcere a Nino e all’amico Totò. I fascisti non fanno differenza tra il corpo di una donna e un campo sventrato per far posto a un bunker : conoscono solo il linguaggio della brutalità, che priva Minica, a seguito di uno stupro, del bimbo che ha in grembo e della possibilità di essere madre. Poiché però la natura è tenace e obbedisce solo alla propria forza, la protagonista, che non vuole rinunciare alla maternità, decide di tramutarsi in albero: i piedi diventano radici, accoglie la pioggia rigeneratrice, si offre a un innesto dinanzi al marito che a poco a poco la comprende e la sostiene. La rilevanza del suolo è ribadita fin dalle prime fasi dello spettacolo, quando è una valigia piena di terra a esprimere sia l’annuncio della gravidanza che la prosperità della vincita al lotto. La grotta in cui Nino aveva già trovato delle ossa accoglierà, dopo un bombardamento e quindi a dispetto di ogni scelta distruttiva, il bambino tanto atteso. Le forze ctonie raccolgono in sé, prima e oltre il tempo, la fine e l’inizio. Lo spettatore, nella conclusione, accoglie l’invito dei narratori ad aspettare : aspettiamo che la vita risorga da se stessa, che la tomba diventi grembo, che la terra faccia di noi i suoi germogli.