“Siamo vivi. Questo è tutto?”: nelle parole ma soprattutto negli occhi e nei volti della gente di Arquata del Tronto c’ è tutto il terrore del terremoto. Che nella notte ha colpito duro, ferendo le case, aprendo squarci nelle pareti e costringendo chi stava dormendo a scappare portando con sé quel poco che si riusciva ad arraffare. “Siamo vivi. Questo è tutto?” ripete Cristina, titolare dell’Hotel Regina, alle porte del paese. “La casa, l’albergo e il resto di Arquata sono completamente danneggiati”,riesce a dire con gli occhi gonfi di lacrime. Lei, i suoi bambini, una coppia di amici ospiti nella sua abitazione e i clienti sono scappati subito dopo la scossa che ha devastato il territorio. In un pulmino e in un’auto le coperte e i cuscini che hanno permesso di superare la notte. Il pensiero va alla struttura sulla quale sono evidenti le crepe. “Questo non è un posto ricco?” sottolinea la proprietaria. “Guardate poi la scuola che doveva aprire tra due settimane – aggiunge -, è come esplosa”. Poi però il pensiero torna ai drammatici attimi della notte. “Siamo scesi dal letto – spiega Cristina – e abbiamo preso i bambini in braccio. Siamo usciti senza nemmeno un graffio, portandoci anche il cane e il gatto”. Arquata del Tronto è un piccolo paese dell’Appennino nel quale vivono circa mille e 200 persone che però salgono a 5-6 mila in estate quando arrivano i turisti e tornano quelli originari di qui (dove hanno ancora le loro case) che si sono trasferiti altrove, a Roma e sulla costa soprattutto. Come Piero e Pina che erano in vacanza nella loro abitazione “in cerca di tranquillità”. “La nostra casa – raccontano – fuori è lesionata ma dentro non c’ è più. Ballava tutto e c’ era un gran rumore. Non riuscivamo a muoverci. Avevamo tutti i calcinacci addosso”. Ad Arquata del Tronto la gente si muove con in mano i sacchetti della spesa con i pochi effetti personali presi in casa. Molti sono ancora in pigiama o indossano tute da ginnastica. Qualche bambino, sfinito, si addormenta sulle panchine. Diversi anche i cani con i loro padroni. Come Cecilia che per prendere Chico, barboncino dal pelo bianco, è tornata in casa. “Per uscire – dice – ho dovuto forzare le porte che erano incastrate. Poi ho sentito passare alcuni amici e ho gridato aiuto. Una volta nella via, un muro di macerie bloccava la strada. Siamo riusciti a uscire infilandoci in una cantina per poi sbucare in piazza. Abbiamo visto due case crollare davanti ai nostri occhi e siamo rimasti un’ora e mezzo al buio, scalzi. Poi ci hanno soccorso”. Amerigo è invece uno degli anziani del paese. “E’ meglio non parlare?”, afferma con sguardo severo e triste. “Si è spaccato tutto – aggiunge – e il terremoto ha buttato tutto a terra. La nostra casa è danneggiata”.
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