Di Olga Chieffi
Una strana e paradossale storia metropolitana, rappresentazione teatrale grottesca narrata con i canoni della tragedia greca. L’ambientazione è un residuo urbano: un vagone di treno/metropolitana fermo in una stazione dell’interland di Napoli su un binario morto, come su un “binario morto” sono le vite dei protagonisti. La vita, le relazioni sociali, gli amori, tutto sospeso in una liquida e avvolgente insoddisfazione, che li rende incapaci di determinare cambiamenti. Tutto scorre nell’indifferenza o addirittura nell’ostilità di un contesto sociale fatto di convenzioni e pregiudizi. E’ quanto andrà in scena per due week-end a cominciare da domani alle ore 21 al Piccolo Teatro PortaCatena che ricomincia da “Binario morto”, una pièce scritta da Lello Guida, affidata alla regia di Franco Alfano ed Elena Scardino, la scenografia dello stesso Alfano e Aldo Arrigo, le musiche di Gabriele Guida e la locandina disegnata da Bruno Brindisi.
La storia rispetta l’unità di tempo e luogo: si svolge in una notte, all’interno della carrozza di un treno. Non c’è un ulteriore sviluppo di quello che accade, non ci sono vicende accessorie. I destini di quattro persone cui daranno voce e corpo Giacomo D’Agostino, Ciro Girardi, Antonio Grimaldi e Gabriella Landi si incrociano e scivolano verso la catastrofe. Incombe la claustrofobica presenza del treno, ma il treno non c’entra, sono gli accadimenti a determinare l’azione e lo svolgersi della vicenda, “’o treno se ne fotte!”. Potrebbe anche esserci un modo, forse, ma “sti cazz’ ‘e buttigiell’ sono tutte uguali! “. Il presunto antidoto viene gettato via. Accettazione del fato o responsabilità del singolo, la risposta tarda ad arrivare. Quante probabilità esistono nella vita reale di far convergere i destini di Cosimo, Damiano e Salvatore in un unico tragico epilogo? Pochissime, quasi impossibile, forse una su un milione, quante sono le vite della metropoli. Quello che prende corpo è un mito, che nel moderno sentire diventa surreale. Tre vite che si intrecciano, tutto era già accaduto ma nessuno ne era cosciente, nessuno conosceva le relazioni. Tutto si compie e si svela nella sua paradossalità. Il fato condiziona paradossalmente, lo svolgersi delle azioni. I personaggi che incontrano sono al limite della follia, o forse sono solo persone che hanno un linguaggio diverso, che affrontano quello che hanno vissuto in maniera più dura e radicale. Si scivola lentamente, sfiorando il grottesco verso un epilogo ineluttabile. Il tutto oscilla tra la casualità che rivela la realtà e il desiderio di raggiungere un proprio ideale di vita. Una donna che vive in strada, ai limiti della società, che si ritiene “la Madonna in persona” che dispensa miracoli che aiutano a vivere o a morire. Salvatore, un improbabile ferroviere- aspirante sucida, che aspetta un treno che decida al suo posto. Tutto sembra già scritto, ma tutto accade in maniera imprevedibile. Cosimo e Damiano insieme ai personaggi che incontreranno, in una concitata notte , in un luogo improbabile, disegneranno la propria vita e i loro destini. La presenza “divina” o folle della sedicente “madonna” offre una possibilità, vera o falsa impossibile dirlo. “Morte o Resurrezione?”, due possibili strade, il dilemma parte dagli interrogativi sulle proprie vite, raccontate da Cosimo e Damiano nel prologo. Una domanda senza risposta, un interrogativo sulla vita, che si perde su un binario morto ai confini della metropoli. La sedicente “madonna”/deus ex machina conclude grottescamente che “comunque ridendo e scherzando la nottata è passata”. Epilogo tragico o possibile rinascita, nuova vita? Domanda conclusiva a cui il teatro non è tenuto a rispondere, il teatro invita a riflettere.