di Francescasole Della Guardia e Simona Pastore
Ci sono doti innate, che vanno al di là della bellezza e del potere, del denaro e dell’intelligenza. La passione è proprio una di queste, una forza che ci brucia dentro e che ci travolge. Ed è proprio questo ciò che riguarda Antonello Ronga, registra e attore salernitano, classe 1981. Come è iniziata sua passione per il teatro? “Sin da bambino, sono cresciuto con mia madre che ogni fine settimana mi portava a teatro e, di conseguenza, nel primo tema in seconda elementare dove la traccia richiedeva cosa volessi fare da grande, scrissi di voler diventare un attore e di voler lavorare nel mondo del teatro, quindi la colpa è di mia madre se questa passione è cresciuta dentro di me nel corso degli anni fino a diventare la mia professione”. Oltre sua madre, altre persone a Lei care hanno appoggiato la sua scelta? “Purtroppo, questo è un lavoro che molto spesso, soprattutto qui al Sud, non viene percepito come tale, ma la mia famiglia ha sempre appoggiato questo mio sogno, incoraggiato le mie aspirazioni e, nei limiti delle possibilità, mi hanno anche aiutato e ho studiato prima a Salerno, indi, all’Accademia del teatro Bellini a Napoli, essendo appoggiato da mia madre e mio fratello che hanno sempre creduto in me, infatti venivano sempre a vedere ogni mio piccolo debutto, perché, ovviamente, si parte sempre da piccoli ruoli”. Quando la propria passione si identifica con la professione è più semplice e gratificante lavorare? “Se ami il lavoro che fai non andrai mai a lavorare. Quando vado a fare le prove, quando scrivo e insegno mi diverto così tanto che non mi pesa quando faccio tardi la sera o devo alzarmi alle sei del mattino perché mi sento bene, il mio cervello lavora poiché vive di fantasia e di situazioni belle e il mondo del teatro vive di questo, è come una roulette, ogni volta che esce un numero è sempre un numero fantasioso”. Nonostante la passione, hai mai riscontrato qualche difficoltà nel lavoro teatrale? “Le difficoltà ci sono e ci saranno sempre, come in tutti i lavori. Basti pensare alla pandemia che negli ultimi due anni ha messo in ginocchio il settore del teatro. Tanti miei colleghi hanno dovuto reinventarsi in un altro mestiere, per far fronte alle bollette da pagare, alla spesa e alla rata dell’auto. Quando le scuole e i laboratori erano chiusi non potevo fare i progetti: è stato un dramma pesantissimo quello che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo. In linea di massima il lavoro dell’attore è precario di suo, c’è bisogno di tanta volontà, passione e studio. Durante il suo percorso ha mai avuto il pensiero di abbandonare? “La grande attrice salernitana Regina Senatore diceva: “Questo lavoro lo benedico e lo maledico.” Stessa cosa vale per me. È chiaro che i ripensamenti su alcune scelte fatte in passato ci sono, è un lavoro meraviglioso, ma allo stesso tempo complicato. Ogni giorno subisci delle pressioni”. Se non avesse intrapreso questo percorso, avrebbe scelto qualche altra attività? “Non lo so, perché ho sempre pensato di fare questo e non riesco a vedere la mia vita al di fuori delle prove, di un gruppo di lavoro e dello studio”. Tra le persone che ha incontrato c’è qualcuna che ha influenzato la sua curiosità artistica? “Tutte quante! Tutte le persone con cui ho lavorato hanno rappresentato un punto importante per la mia crescita umana e il mio sviluppo cognitivo. In tutti quelli che fanno questo mestiere c’è sempre qualcosa da imparare. Parafrasando Paolo Coelho “Tutti gli incontri che si fanno servono a qualcosa”. Posso citarti in particolar modo mia moglie che ho conosciuto proprio sul palcoscenico, ma anche registi importanti che mi hanno aperto la mente e il percorso di laboratorio teatrale al carcere, sono esperienze che non dimentichi mai, perché lavorare con un detenuto di dà la possibilità di aprirti ancora di più da un punto di vista mentale e umano”. Da bambino aveva un attore preferito? “Certo! Il mio attore preferito è sempre stato Marcello Mastroianni, credo sia in assoluto l’esempio del cinema mondiale, un artista a 360 gradi ma come lui ce ne sono tanti altri come Vittorio Gassman, Alberto Sordi e nel teatro non posso non citare Eduardo De Filippo”. Si sente maggiormente a suo agio nel ruolo di attore o di regista? “Io mi sento perfettamente a mio agio nel ruolo di regista, ma riesco a stare lontano veramente poco dal palcoscenico perché il primo amore non si scorda mai”. Rituali scaramantici prima di una performance? “Sì, prima di andare in scena nel mio camerino guardo la foto di mio padre che non c’è più e faccio il segno della croce che mi accompagna sempre”. Ogni volta che sale sul palco ha ansia o ha raggiunto una certa sicurezza, un equilibrio? “No, quella non si raggiunge mai, ogni volta è come il primo giorno, forse anche peggio perché a 18 anni c’è un po’ di incoscienza, mentre a 40 c’è maggiore consapevolezza di ciò che hai fatto, quindi è sempre peggio. Qualcuno dice che se non c’è questa paura vuol dire che non puoi fare più questo lavoro. In qualità di regista come mai ha scelto di dedicarsi principalmente alla regia di spettacoli per i più piccoli? “Nonostante abbia 40 anni dentro mi sento ancora un bambino e, quindi, la commedia musicale e il musical hanno preso parte maggiormente nella mia vita, mi diverto sempre di più, nonostante io sia un regista di teatro classico”. Qual è lo spettacolo preferito da Lei diretto? “Gli spettacoli che dirigo sono tutti figli miei, non c’è uno preferito. A ognuno di loro è legato un ricordo meraviglioso e un momento di formazione e di crescita”. Ha dei progetti futuri? “Sì, ne ho moltissimi, spero solo di poterli mettere in atto. Abbiamo molte idee per quest’estate, cercheremo di mettere in atto i progetti che a causa della pandemia non siamo riusciti a portare a termine”.