di Brigida Vicinanza
Una fabbrica che vive a metà e che ora vuole rialzarsi. Altrove, delocalizzando, ma purché si lavori. Famiglie e generazioni che si sono susseguite nel tempo e che ora vivono in bilico tra il “chiuso e aperto”, tra la Magistratura e le ipotesi di delocalizzazione, tra la cassa integrazione e la produzione a metà. “Prima uscivano da qui anche 15 camion al giorno, per Ferrara, Modena” ha dichiarato un po’ amareggiato il rappresentante Rsu degli operai, Angelo Clemente. “Di alcuni modelli facevamo 2500 pezzi. Ricordo quando producemmo dei pezzi per i carrarmati americani dei Marines. Adesso, comunque, esportiamo a Londra, in Austria. Ci sono dei pezzi pronti da spedire in Germania. Abbiamo preso una buona commissione al posto della Turchia ed è una delle poche cose che ci tiene ancora in vita in quanto abbiamo perso quasi ”. Si entusiasma Angelo Clemente nel dire che “il padre di un mio compagno di lavoro, lavorava con mio padre. Adesso, dopo quello che è successo, abbiamo una coscienza diversa. L’azienda ci ha sempre fornito le protezioni necessarie ma alcuni le trascuravano. Sono stati organizzati corsi di formazione per i più giovani non solo sulla sicurezza sul lavoro ma anche per quello che concerne le problematiche ambientali e di conseguenza ora sono tutti più informati ed attenti, proprio perché vogliamo che la nostra azienda cresca e possa avere la possibilità di lavorare”. Un vanto per tutti, la fonderia Pisano, non solo per la proprietà, ma anche per gli operai che sono riusciti a fare famiglia all’interno dell’opificio. “Tutti i pezzi che produciamo necessitano di una ulteriore lavorazione meccanica. Se l’azienda avesse le possibilità potremmo assumere da noi e non dover commissionare ad altri. Ci sarebbe non solo risparmio ma anche nuove assunzioni. Ci stiamo lavorando” ha sottolineato, speranzoso, Angelo. Sull’emozione che gli procura vedere riaperta la fabbrica dichiara infine: “E’ bello vedere le facce dei compagni. Io non ho perso un giorno di battaglia, qui. Grazie a questo, però, siamo davvero diventati come una famiglia. Non faccio nomi, ma sono nati anche alcuni amori”. Un velo di amarezza quando pensa al fatto che “A turni alterni ma stiamo cercando di far lavorare almeno cento operai. Cinque sono in cassa integrazione, ma penso che comunque abbiamo perso molto e speriamo di poterlo recuperare altrove, per continuare a portare avanti una tradizione che rende Salerno in questo momento una città con una delle aziende più conosciute in Italia e in Europa”.