
di Antonio Manzo
Un’ottima notizia per le Istituzioni. Giovanni Amoroso è stato eletto all’unanimità nuovo Presidente della Corte Costituzionale. Campano, 76 anni, Amoroso succede ad Augusto Barbera, che aveva terminato il suo incarico lo scorso 21 dicembre. Termina in fretta, dunque, una vacatio potenzialmente preoccupante alla Corte Costituzionale. Giovanni Amoroso è il nuovo presidente della Consulta. È nato a Mercato San Severino il 30 marzo 1949. Il suo mandato quale Presidente della Consulta terminerà il prossimo 13 novembre 2026. E’ stato nominato magistrato con decreto ministeriale del 27 marzo 1975; ha svolto le funzioni di pretore penale presso la pretura di Bergamo (1976-1980) e di pretore del lavoro presso la pretura di Roma (1980-1984). Assegnato all’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione nel 1984, dapprima come magistrato di tribunale (1984-1989) e poi come magistrato d’appello (1996-2000), è stato applicato alla Sezione Lavoro ove ha partecipato ai collegi come relatore e poi estensore delle pronunce adottate. Nel periodo 1986-1989 è stato applicato al Centro elettronico di documentazione della Corte di cassazione ed ha curato i corsi di apprendimento del sistema Italgiure delle banche dati della Corte. Dal 1990 al 1996 è stato collocato fuori ruolo della magistratura in qualità di assistente di studio a tempo pieno del giudice costituzionale Renato Granata; successivamente – rientrato in ruolo come magistrato d’appello applicato all’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione – ha proseguito, a tempo parziale, sino al 1999 la sua collaborazione con il giudice costituzionale Renato Granata, eletto Presidente della Corte. In seguito, dal 1999 al 2008, rimanendo in ruolo come magistrato della Corte di cassazione, è stato assistente di studio del giudice costituzionale, poi Presidente, Franco Bile. Nominato Consigliere di cassazione nel 2000, è stato dapprima assegnato alla Terza Sezione penale, con applicazione alla Sezione Lavoro e, successivamente, assegnato a quest’ultima con applicazione alla Terza Sezione penale. Conseguita l’idoneità alle funzioni direttive superiori, dal marzo 2006 è stato designato quale componente delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione. Nominato Direttore aggiunto dell’Ufficio del Massimario della Corte nel febbraio del 2013, successivamente ne è divenuto il Direttore. Nel febbraio del 2015 è stato nominato Presidente di sezione della Corte e assegnato alla Sezione Lavoro. Nel giugno del 2015 è stato destinato anche alle Sezioni Unite civili come presidente di sezione non titolare, venendo altresì designato come coordinatore delle Sezioni Unite civili. Come primo atto, il neo presidente eletto ha nominato vicepresidenti della Corte Francesco Viganò e Luca Antonini. Sposato e padre di due figli oltre che 4 volte nonno, il neo presidente è stato eletto all’unanimità da una Corte non nel plenum del suo Collegio, ma al minimo legale per poter deliberare, con 11 giudici su 15. “Il mio impegno sarà assoluto nello svolgimento di questo incarico con disciplina e onore, come richiede l’articolo 54 della Costituzione”. E l’autonomia differenziata, già bocciata dalla Consulta un mese fa, è la causa vera delle bocciatura del referendum sulla legge Spaccaitalia. Già un mese fa proprio uno dei promotori del referendum, il presidente della Campania Vincenzo De Luca a chiedere un supplemento di lavoro del Parlamento dopo il primo no della Consulta sulla legge Calderoli. Ora c’è l’autorevolezza del noi presidente della Corte Costituzionale che richiama il Parlamento ai suoi doveri legislativi- L’autonomia differenziata si presenta come un edificio fragile, privo delle fondamenta necessarie per reggersi. È questo il senso finale delle parole pronunciate da Giovanni Amoroso, da ieri nuovo presidente, all’unanimità, della Corte costituzionale, durante la conferenza stampa che lo ha tenuto impegnato per un’ora dopo la sua elezione. Entro primavera la Consulta si pronuncerà sula impugnazione del Governop sulla legge regionale della Campania con la possibilità di un terzo mandato per Vincenzo De Luca come anche per Luca Zaia, presidente del Veneto. Amoroso nella sua prima uscita pubblica ha evitato il conflitto con la politica, chiarendo ad ogni domanda di voler tenere ben evidenti i confini tra la Corte e il Parlamento. Ma è impossibile, alla luce anche della sentenza con la quale 24 ore prima era stato bocciato il referendum sulla legge Calderoli, non parlare di Autonomia, con un messaggio al legislatore, chiamato a intervenire per rideterminare «i criteri per l’individuazione dei livelli essenziali di prestazione». La Consulta, infatti, nelle scorse settimane aveva evidenziato 14 capi di incostituzionalità nella legge 86, lasciando al Parlamento il compito di ricostruire «questa base che è a fondamento di tutto l’impianto della legge per l’attribuzione di specifiche funzioni di materia». Perché senza fondamenta solide, ha concluso Amoroso, è impossibile costruire l’edificio dell’Autonomia differenziata. La Corte ha fissato criteri chiari e vincolanti: «L’attribuzione e il trasferimento (di specifiche funzioni, ndr) sono condizionati alla predeterminazione dei livelli essenziali di prestazione attinenti ai diritti civili e sociali – ha chiarito -. E sono proprio il pilastro su cui si regge la legge e che è stato investito dalla pronuncia di incostituzionalità della sentenza 192. La possibilità di determinare i Lep senza un intervento del legislatore non c’è». Certo, ci sono materie non Lep, «ma anche su queste la Corte è intervenuta, innanzitutto limitando l’attribuzione a specifiche funzioni di materie» e «precisando che l’attribuzione per le materie non Lep, laddove ci sia un’incidenza su diritti civili o sociali, richiede comunque la predeterminazione dei Lep». E anche in questo caso, dunque, è «necessario che intervenga il legislatore». Il che vuol dire, chiudendo il cerchio, che bisogna intervenire proprio su tutto. Per questo, dunque, è stato bocciato il referendum che mirava a cancellare la riforma: «La consapevolezza del voto dell’elettore passa attraverso la chiarezza sia del quesito che dell’oggetto del quesito stesso – ha evidenziato -. Ora l’oggetto si è fortemente ridimensionato a seguito della sentenza 192 e si è ridimensionato a un punto tale che ciò che rimane è poco più che un perno sul quale costruire l’impianto per il trasferimento di specifiche funzioni. La obiettiva non chiarezza dell’oggetto del quesito avrebbe comportato una sorta di mutamento del quesito stesso in uno più chiaro, cioè: volete o no l’attuazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione? Ma questo è un interrogativo che non si può sottoporre all’elettorato, perché riguarda una norma costituzionale». L’atteggiamento di Amoroso è diverso da quello dei suoi predecessori, che non risparmiavano messaggi “politici”. Come nel caso del ritardo clamoroso sull’elezione dei quattro giudici costituzionali mancanti, per i quali l’auspicio, chiarisce Amoroso, è che «il collegio della Corte possa essere reintegrato nel suo plenum quanto prima». Ma il ritardo non desta preoccupazione. «La Corte non è menomata dal fatto di aver lavorato in 11 – ha sottolineato – perché è proprio espressamente previsto dalla legge 86 del 53». Quindi anche se il ritardo appare all’esterno come una mancanza di rispetto da parte della politica, impegnata nella lottizzazione di un organo istituzionale, per il presidente non c’è motivo di preoccuparsi: «Il Parlamento ha eletto giudici del calibro di Franco Modugno, Augusto Barbera e Giulio Prosperetti e prima ancora Silvana Sciarra e quindi ha mandato giudici di eccellenza. Non mi pare che ci sia da temere un atteggiamento di sottovalutazione – ha evidenziato -. Ci aspettiamo, e sicuramente sarà così, giudici di assoluto livello». Giudici che una volta dentro la camera di consiglio, «si spoglieranno della loro provenienza» politica, raggiungendo «una sintesi». Si muove con cautela anche quando gli viene chiesto conto del rapporto non proprio roseo tra la sua categoria, la magistratura, e la politica: «Certo non giova alla serenità del Paese che ci sia una situazione non direi di conflitto, ma di non armonia – ha sottolineato -. Ci sono vari fronti». Però «la Corte ha un ruolo specifico» e non ha a che fare con le riforme, almeno fino a quando non ci sono «incidenti di costituzionalità» sui quali pronunciarsi. Anche se poi il rischio è che le sentenze rimangano lettera morta.